L’idea che comprare di più significhi vivere meglio è profondamente radicata nella nostra società. Ma libri come “Less” di Patrick Grant e documentari come “Affamati di spreco” (cercatelo su RaiPlay) o “Buy Now: The Shopping Conspiracy” ci invitano a riconsiderare questa equazione. È arrivato il momento di esaminare criticamente alcuni dei miti più diffusi sul consumismo che influenzano le nostre scelte quotidiane.
Eccone 5, che magari la società inizierà a incrinare seriamente proprio a partire da quest’anno, per costruire una società migliore nel prossimo futuro. Cominciamo?
La terapia dello shopping è un’illusione
La “retail therapy”, o terapia dello shopping, è diventata una pratica comune per gestire le emozioni negative. Sembra più facile della vera terapia, ma la scienza racconta una storia diversa. Gli studi dimostrano costantemente che il consumo materialistico porta a un minor benessere sia individuale che sociale. Ripeto: fare shopping compulsivo come reazione a depressione o malessere non fa bene. Fa male, anzi fa peggio.
Le ricerche più recenti suggeriscono che uno stile di vita basato su meno consumi può portare maggiore soddisfazione personale, oltre a evidenti benefici ambientali. Mi colpisce particolarmente come questo contrasti con la narrazione dominante del “comprare per stare meglio”. E se pensate che andare contro questa narrazione sia “vogliono privarci della libertà”, riflettete meglio. Siete liberi se consumate meno, o se siete schiavi del consumismo sfrenato? Su.
Il mito dello stimolo economico
Alcuni sostengono che comprare di più stimoli l’economia, crei posti di lavoro e supporti i servizi pubblici attraverso le tasse. Tuttavia, l’impatto positivo sulle comunità locali è spesso sovrastimato.
Le catene di approvvigionamento globalizzate e l’evasione fiscale delle grandi aziende fanno sì che gran parte del valore generato non rimanga nel territorio. Per garantire che la nostra spesa sostenga davvero la comunità, è fondamentale informarsi sulla storia dietro le etichette e soprattutto sulle aziende che finanziamo con i nostri acquisti.
Il nuovo non è sempre meglio
Certo, alcune tecnologie all’avanguardia possono offrire reali miglioramenti rispetto alle versioni precedenti, ma ve lo dico: per la maggior parte dei prodotti il nuovo non è necessariamente meglio. Come argomenta Grant nel suo libro Less (leggetelo, è un consiglio disinteressato: non prendo alcuna commissione su questo link!) la qualità dei prodotti è diminuita negli ultimi decenni.
I produttori privilegiano prezzi accessibili e praticano l’obsolescenza programmata: progettano deliberatamente prodotti che si romperanno dopo un certo numero di utilizzi per mantenere il ciclo del consumo e raggiungere i loro obiettivi di vendita. I prodotti più vecchi erano spesso costruiti per durare, quindi scegliere l’usato o riparare oggetti più datati (pretendiamone il diritto!) può farci risparmiare e assicurarci prodotti di qualità superiore.
La sostenibilità non è necessariamente costosa
È vero che alcuni marchi hanno usato il termine “sostenibile” per giustificare prezzi premium, e tutti facciamo bene ad essere scettici e attenti. Tuttavia, adottare pratiche di consumo sostenibili può essere spesso gratuito o addirittura generare guadagni extra attraverso la vendita o la donazione di oggetti non più necessari.
Invece di “comprare nuovo”, si possono organizzare “swap party” per scambiare oggetti come giocattoli o vestiti con amici, familiari o vicini. Fare ordine in casa può liberare spazio, portare gioia e aiutare a connettersi con gli altri attraverso lo scambio di oggetti. Altro che spese!
L’esperienza non batte sempre l’oggetto
Le ricerche precedenti hanno dimostrato che spendere soldi in esperienze porta più felicità principalmente perché questi acquisti sono migliori nel connettere le persone. Ma anche gli acquisti materiali che aiutano a connettersi con gli altri, come un gioco da tavolo, possono portare tanta gioia quanto un’esperienza.
Come evidenziato dalla Cardiff University, quando spendiamo la chiave è capire se l’acquisto ci aiuterà a connetterci con gli altri, imparare cose nuove o aiutare la nostra comunità. Non si tratta di scegliere tra oggetti materiali o esperienze, ma di valutare l’impatto sulla nostra vita sociale.
Un regalo non è sempre amore
I professionisti del marketing promuovono spesso il messaggio che i gesti finanziari costosi siano il modo migliore per esprimere amore e apprezzamento. Diffondere questa idea li aiuta a vendere più prodotti. La ricerca suggerisce invece che abbracciare questi “ideali” del consumismo potrebbe in realtà allontanarci dagli altri.
Gli studi hanno dimostrato che investire in cose che possono comprarci più tempo e spendere soldi per gli altri può portare a livelli più alti di benessere. Combinando queste intuizioni, regalare il nostro tempo agli altri potrebbe essere un ottimo modo per mostrare affetto e potrebbe avere un effetto positivo a catena.
Verso un nuovo modello di consumismo (o semplicemente di consumo)
Per il 2025, potremmo considerare un proposito per l’anno nuovo che sia gentile con il portafoglio e più attento al pianeta. È possibile resistere alle pressioni commerciali per il sovraconsumo e trovare modi per godere dei piaceri più semplici della vita, molti dei quali sono gratuiti.
Offrire di fare da babysitter a un amico o un familiare impegnato, aiutare un parente con un progetto domestico o offrire le proprie competenze per consigliare o insegnare qualcosa di nuovo o utile può essere incredibilmente prezioso per gli altri. Poco tecnologico? Poco eclatante? Poco costoso? Perfino poco futurista?
Ma chi se ne frega. Il futuro siamo noi, non è il racconto di chi vuole sempre, costantemente venderci qualcosa.
L’articolo 6 miti del consumismo da sfatare nel 2025 è tratto da Futuro Prossimo.
Società, Consumi