Non so cosa darei per poter portare Alan Turing nel nostro presente con qualche strana macchina del tempo. Cosa penserebbe questo genio visionario, padre dell’informatica e pioniere dell’intelligenza artificiale, di fronte alle meraviglie tecnologiche che ha contribuito a rendere possibili? A 70 anni esatti dalla sua morte (7 giugno 1954), mi ritorna in mente un uomo che ha cambiato il corso della storia con le sue intuizioni rivoluzionarie.
Dalle “sue” macchine, teorizzate nel suo primo articolo (che era già un manifesto) agli assistenti virtuali che oggi popolano le nostre case e i nostri dispositivi. Dai primi computer programmabili degli anni ’40 agli algoritmi che governano le nostre vite nell’era dei big data, l’eredità di questo enigmatico scienziato permea ogni aspetto della nostra era digitale. Vi va di ripercorrere insieme i progressi che ci ha regalato Alan Turing? Proviamo a immaginare cosa direbbe di fronte al mondo high-tech che ha contribuito a plasmare?
Un giovanissimo Alan Turing
Alan Turing, dal ‘sogno’ delle macchine all’intelligenza artificiale
Nel 1936, a soli 24 anni, Alan Turing pubblicò “On Computable Numbers”, un articolo destinato a rivoluzionare il mondo dell’informatica. In quelle pagine, il giovane matematico britannico introduceva il concetto di “macchina di Turing“, un dispositivo (ancora teorico) capace di eseguire qualsiasi algoritmo calcolabile. Questo lavoro gettò le basi per lo sviluppo dei moderni computer e aprì la strada all’intelligenza artificiale.
Una macchina Enigma. Alan Turing ne decifrò il codice, salvando milioni di vite.
Negli anni successivi, Turing diede un contributo fondamentale. Fu il primo a decifrare completamente il codice tedesco Enigma. Sviluppò anche una macchina, chiamata “Bomba”, per simulare il funzionamento della macchina Enigma e ottenere messaggi cifrati. Senza esagerare, Alan Turing accorciò il conflitto di almeno due anni salvando milioni di vite. Nel dopoguerra, invece, il matematico continuò a lavorare sui primi computer programmabili. Ad esempii il Manchester Baby del 1948: un modo per esplorare già allora le potenzialità dell’intelligenza artificiale.
Il test di Turing e il sogno dell’IA
Oggi, a 70 anni dalla sua scomparsa, le idee di Alan Turing sono più vive che mai. Gli assistenti virtuali come Siri e Alexa, gli algoritmi di Netflix e Amazon che ci raccomandano cose, i motori di ricerca come Google. Tutti questi strumenti, ormai parte integrante delle nostre vite, affondano le radici nel lavoro pioneristico di questo genio visionario.
Ma Turing non si limitò a gettare le basi tecniche per l’informatica e l’IA. Nel suo articolo “Computing Machinery and Intelligence” del 1950, propose quello che oggi è noto come “test di Turing”. Un criterio per determinare se una macchina possa essere considerata intelligente. Secondo questo test, se un computer è in grado di conversare con un essere umano senza che quest’ultimo possa distinguerlo da una persona reale, allora può essere considerato dotato di intelligenza.
Sebbene il test di Turing rimanga un punto di riferimento nel dibattito sull’IA, i progressi degli ultimi decenni hanno portato a risultati che forse nemmeno lui avrebbe potuto immaginare. Dalle reti neurali che riconoscono il linguaggio naturale ai sistemi di apprendimento automatico che battono i campioni umani a scacchi e a Go, l’IA sta rapidamente avvicinandosi al sogno lucidissimo di Turing.
L’eredità di un genio incompreso
Alan Turing
Eppure, nonostante il suo genio e i suoi contributi rivoluzionari, Alan Turing rimase a lungo una figura incompresa e perseguitata. Nel 1952, in un’epoca in cui l’omosessualità era ancora considerata un reato nel Regno Unito, Turing fu condannato per “gross indecency” e costretto a sottoporsi a una cura ormonale che gli causò gravi sofferenze fisiche e psicologiche. Solo nel 2009, ben 55 anni dopo la sua morte, il governo britannico si scusò ufficialmente per il trattamento inflitto a questo eroe nazionale, e nel 2013 la regina Elisabetta II gli dedicò un ringraziamento postumo.
L’eredità umana di un uomo che fu vittima dell’intolleranza e del pregiudizio del suo tempo è anche morale. In un’epoca in cui la diversità e l’inclusione sono valori sempre più riconosciuti, il tributo più grande che possiamo rendere a questo genio incompreso è costruire un mondo in cui ogni persona possa esprimere liberamente il proprio potenziale, senza paura di discriminazioni o persecuzioni.
Alan Turing vive, e guarda al futuro con noi
Alan Turing “immaginato” dall’AI mentre, in un laboratorio moderno, osserva un nuovo computer quantistico.
Tornando al mio sogno: se Alan Turing potesse visitare il nostro presente, rimarrebbe senza dubbio stupito dai progressi che la tecnologia ha compiuto negli ultimi 70 anni. Vedrebbe il suo sogno di macchine pensanti sempre più vicino a diventare realtà, con l’IA che permea ogni aspetto delle nostre vite, dalla medicina all’istruzione, dalla finanza all’intrattenimento.
Forse, però, da scienziato visionario qual era, Turing non si accontenterebbe di celebrare i traguardi raggiunti. Ci sfiderebbe a spingere oltre i confini del possibile, a esplorare nuove frontiere dell’informatica e dell’intelligenza artificiale. Ci inviterebbe a riflettere sulle implicazioni etiche e sociali di queste tecnologie, a lavorare per un futuro in cui l’IA sia al servizio dell’umanità e non una minaccia per essa.
Soprattutto, ci ricorderebbe che il progresso scientifico non è solo una questione di formule e algoritmi, ma anche di creatività, immaginazione e coraggio. Le stesse qualità che hanno permesso a un giovane matematico britannico di rivoluzionare il mondo con le sue idee, nonostante le avversità e le incomprensioni del suo tempo.
L’articolo 70 anni senza Alan Turing: l’eredità del genio che ha cambiato il mondo è tratto da Futuro Prossimo.
Il futuro di ieri, informatica