USA: “Inferno di droni” nello Stretto di Taiwan se la Cina attacca Futuro Prossimo

USA: “Inferno di droni” nello Stretto di Taiwan se la Cina attacca Futuro Prossimo

In un’intervista al Washington Post che in modo un po’ dissacrante definirei esplosiva (letteralmente), l’Ammiraglio Samuel Paparo, capo del Comando Indo-Pacifico degli Stati Uniti, ha svelato un piano audace e inquietante per affrontare una potenziale invasione cinese di Taiwan. L’idea? Trasformare lo Stretto di Taiwan in un “paesaggio infernale” di droni, con l’obiettivo di paralizzare le forze cinesi e guadagnare tempo prezioso per organizzare la difesa dell’isola.

Una strategia che solleva ancora una volta interrogativi profondi sulla natura della guerra moderna e sui rischi di un’escalation incontrollata.

Un piano da incubo nello Stretto di Taiwan

Le parole dell’Ammiraglio Paparo non lasciano spazio a dubbi: in caso di attacco cinese a Taiwan, gli Stati Uniti sono pronti a scatenare un vero e proprio inferno di droni nello Stretto. L’obiettivo dichiarato è quello di “rendere assolutamente miserabile la vita dei cinesi per un mese”, guadagnando così il tempo necessario per organizzare la difesa dell’isola.

Ma dietro questa dichiarazione si cela una realtà ben più complessa e preoccupante. L’uso massiccio di droni, sottomarini e barche senza equipaggio rappresenta infatti un salto di qualità nella corsa agli armamenti tra le due superpotenze. Una corsa che rischia di sfuggire al controllo e di trasformare lo Stretto di Taiwan (e non solo) in un campo di battaglia high-tech, con conseguenze imprevedibili per la stabilità regionale e globale.

L’Ammiraglio Samuel Paparo, comandante del Comando Indo-Pacifico degli Stati Uniti, stringe la mano al primo ministro giapponese Fumio Kishida a Tokyo il 29 maggio scorso.

Il “Replicator Initiative”: migliaia di droni controllati dall’IA

Chi pensa che il piano dell’Ammiraglio Paparo sia solo un’uscita estemporanea nel quadro delle schermaglie Cina-USA, potrebbe sbagliarsi di grosso. Questa dichiarazione si inserisce in una strategia più ampia degli Stati Uniti per contrastare la crescente potenza militare cinese. Già lo scorso anno, la vice segretaria alla Difesa Kathleen Hicks aveva annunciato il “Replicator Initiative”, un progetto per dispiegare migliaia di droni controllati dall’Intelligenza Artificiale nei prossimi 18-24 mesi.

L’obiettivo dichiarato? Quello di colmare il divario con la Cina in termini di “massa”: più navi, più missili, più forze. Ma l’uso dell’IA in ambito militare solleva interrogativi etici e strategici di enorme portata. Quanto controllo avranno gli esseri umani su questi sciami di droni? Quali saranno le regole d’ingaggio? E soprattutto, come si potrà evitare un’escalation incontrollata in caso di conflitto?

Escalation “obbligatoria” per i paesi che incidono sullo Stretto di Taiwan?

L’alto ufficiale americano si rende ben conto delle sue parole, tutt’altro che frutto della sua sola iniziativa. Paparo afferma che i paesi della regione hanno solo due scelte: sottomettersi alla Cina, rinunciando a parte delle loro libertà, o “armarsi fino ai denti”. Se vi suona già sentita altrove, forse è così.

Una visione manichea che sembra lasciare poco spazio alla diplomazia e al dialogo. E che rischia di trascinare i paesi dell’Asia-Pacifico in una spirale di militarizzazione e tensione, con conseguenze dirette per la sicurezza e il benessere di tutti. Anche degli stessi cittadini americani, aggiungerei.

Verso un futuro di guerre robotiche?

In definitiva, le parole dell’Ammiraglio Paparo suonano come l’ennesimo chiodo sulla bara dell’era militare “analogica”. Il futuro è un pianeta in cui non lo Stretto di Taiwan i campi di battaglia saranno popolati da sciami di macchine autonome, programmati per seminare distruzione e caos.

Davanti a questa prospettiva, è urgente aprire un dibattito serio e approfondito sulle implicazioni etiche, legali e strategiche di queste nuove tecnologie. Un dibattito che coinvolga non solo i militari e i politici, ma anche la società civile, il mondo accademico, le organizzazioni internazionali.

Solo attraverso un confronto aperto e trasparente potremo sperare di governare l’evoluzione degli armamenti e di prevenire una catastrofe. Perché in un mondo di droni e IA, la pace e la sicurezza non possono essere lasciate nelle mani di algoritmi e macchine. Devono rimanere sotto il controllo della ragione e della coscienza umana, della qual cosa evidentemente non dispone l’Ammiraglio, né gli altri come lui, di qualunque nazione.

L’articolo USA: “Inferno di droni” nello Stretto di Taiwan se la Cina attacca è tratto da Futuro Prossimo.

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