C’è un’immagine che sta facendo il giro del mondo. Uno scatto a metà tra il documentaristico e il surreale, che ritrae un oggetto familiare eppure alieno. Un pezzo di razzo lungo 11 metri, sospeso nel buio cosmico a 400 km dalla Terra. Non si tratta di un fotomontaggio o di un render digitale, ma di una fotografia autentica, catturata da un satellite a una distanza record di appena 50 metri. Un’impresa senza precedenti, che segna un passo avanti cruciale nella lotta a uno dei problemi più pressanti dell’era spaziale: i detriti orbitali.
Già, perché quello strano rottame metallico che fluttua nell’inquadratura non è altro che un frammento delle migliaia di tonnellate di spazzatura che affollano lo spazio intorno al nostro pianeta. Una vera e propria “isola di detriti”, corrispettivo orbitale di quella fatta di plastica che galleggia nell’Oceano Pacifico. Detriti di vecchie missioni, satelliti dismessi, schegge impazzite che viaggiano velocissime, rappresentando una minaccia crescente per i veicoli e le infrastrutture spaziali. Ed è proprio per studiare da vicino questa spazzatura cosmica che è stato lanciato ADRAS-J, il satellite “spazzino” protagonista di questa storica foto. Un primo, coraggioso passo verso la futura bonifica dell’orbita terrestre. Vediamo come.
Detriti spaziali, minaccia invisibile
In tanti sapete già che sopra le nostre teste, mentre noi vaghiamo ignari tra casa e ufficio, si nasconde una vera e propria discarica di detriti spaziali. L’orbita terrestre, soprattutto quella bassa (LEO, Low Earth Orbit, fino a 2000 km di quota), è affollata da una moltitudine di oggetti abbandonati. Molti però ignorano l’estensione di questo materiale. Un inventario di scarti che la NASA stima aggirarsi attorno alle 6000 tonnellate, per un totale di oltre 100 milioni di frammenti superiori al millimetro.
Il problema è che tutti questi detriti, anche i più minuscoli, si muovono a velocità folli, fino a 28.000 km/h. A quelle andature, anche un bullone o una scheggia di vernice possono trasformarsi in proiettili letali per i veicoli spaziali operativi, come la Stazione Spaziale Internazionale o i sempre più numerosi satelliti da cui dipendono le nostre telecomunicazioni. Il meteo. La navigazione GPS. Per non parlare del rischio crescente di collisioni a catena, con i detriti che si scontrano generando altri detriti in un effetto valanga potenzialmente catastrofico.
Insomma, i detriti spaziali sono una vera e propria spada di Damocle sulla sostenibilità delle attività umane nello spazio. Un problema che richiede una cooperazione globale e soluzioni innovative: un po’ come quella di Astroscale, con il suo pionieristico programma ADRAS-J.
Il panorama è quello di una discarica.
Astroscale, gli spazzini dello spazio
Fondata nel 2013 a Tokyo, Astroscale è una delle aziende leader a livello mondiale nello sviluppo di tecnologie per la rimozione dei detriti spaziali. La sua missione dichiarata è quella di “garantire la sicurezza e la sostenibilità a lungo termine delle attività spaziali”, attraverso servizi di monitoraggio, ispezione e rimozione attiva dei rifiuti orbitali.
Il suo progetto ADRAS-J (Active Debris Removal by Astroscale-Japan) è stato selezionato dall’agenzia spaziale giapponese JAXA per una dimostrazione di rimozione di detriti su scala commerciale (CRD2, Commercial Removal of Debris Demonstration). L’obiettivo della missione? Testare le tecnologie chiave per l’avvicinamento, l’ispezione e la caratterizzazione di un detrito spaziale, in vista di future operazioni di cattura e rimozione.
Il bersaglio designato era uno stadio superiore H-2A, un componente di razzo giapponese lungo circa 11 metri, in orbita dal 2009 dopo aver portato a termine il suo compito di lanciare un satellite per l’osservazione terrestre. Un rottame emblematico, perfetto per sperimentare le capacità del satellite ADRAS-J.
Ma come si svolge in pratica una missione di questo tipo?
Anatomia di un incontro spaziale
Innanzitutto bisogna individuare e tracciare con precisione il detrito target, utilizzando dati radar e di telemetria. Una vera e propria caccia spaziale che, nel caso di ADRAS-J, è iniziata a febbraio scorso. Una volta definita l’orbita del bersaglio, il satellite spazzino ha iniziato la fase di avvicinamento, guidato da sofisticati algoritmi di navigazione autonoma e dai dati di una rete di stazioni di terra.
Man mano che la distanza si riduceva, dai circa 10 km iniziali fino a poche centinaia di metri, sono entrati in gioco i sensori di bordo, come telecamere ad alta risoluzione e sistemi di visione a infrarossi. Occhi elettronici indispensabili per l’ultimo, delicato rendez vous.
Finalmente, il 9 aprile scorso, l’incontro tanto atteso: ADRAS-J ha “agganciato” visivamente il detrito H-2A da una distanza di sicurezza, confermando di poterlo tracciare e seguire in modo stabile. Un risultato già di per sé notevole, che ha aperto la strada all’ultima, emozionante fase della missione: l’ispezione ravvicinata.
Nelle settimane successive, infatti, il satellite si è avvicinato progressivamente al rottame, fino a giungere, a metà maggio, a una distanza record di circa 50 metri. È a quel punto che è stata scattata la storica immagine che ha fatto il giro del mondo: il primo ritratto ravvicinato di uno dei detriti spaziali che funestano l’orbita terrestre, catturato da una prospettiva senza precedenti.
Un’inquadratura che, nella sua cruda bellezza, riassume perfettamente il senso dell’impresa di Astroscale: gettare luce su un problema invisibile ai più, ma sempre più pressante per il futuro delle attività umane nello spazio. E dimostrare che soluzioni tecnologiche all’avanguardia, come i satelliti spazzini, possono fare la differenza nella lotta all’inquinamento orbitale.
Un piccolo passo per un satellite eccetera
Certo, quella di ADRAS-J è solo una prima, parziale vittoria. Avvicinarsi e fotografare detriti spaziali è una cosa, catturarli e rimuoverli è tutta un’altra storia. Per quello serviranno missioni ancora più complesse e ambiziose, dotate di bracci robotici o reti in grado di agganciare fisicamente i rottami e trascinarli verso un rientro atmosferico controllato.
Ma non sottovalutiamo l’importanza di questo primo, storico passo. Le immagini e i dati raccolti da ADRAS-J, infatti, saranno fondamentali per comprendere meglio la sfida che ci attende. Per studiare le condizioni e la dinamica dei detriti, per affinare i modelli di navigazione e le strategie di cattura. In altre parole, per gettare le basi di un futuro in cui lo spazio sarà un luogo più pulito, sicuro e sostenibile per tutti.
Un futuro in cui satelliti spazzini sempre più evoluti pattuglieranno l’orbita terrestre, pronti a intervenire come angeli custodi cosmici per rimuovere i pericoli e i rifiuti lasciati dalle generazioni precedenti. Un po’ come fanno, qui sulla Terra, i nostri servizi di nettezza urbana.
Con una differenza fondamentale, però: che mentre le strade e le piazze delle nostre città sono un bene che appartiene ai cittadini, lo spazio è un bene comune dell’umanità intera. Un’eredità da preservare e trasmettere alle generazioni future. Aiutateci a tenere l’orbita pulita!
L’articolo In orbita c’è un’isola di detriti: lo scatto mozzafiato del satellite ADRAS-J è tratto da Futuro Prossimo.
Spazio, Orbita