Avete mai avuto la sensazione inquietante che il vostro telefono vi stesse ascoltando? Beh, avevate ragione. Non era paranoia. Un’agenzia di marketing ha finalmente ammesso l’uso dell’ascolto attivo per spiare le conversazioni e mostrare pubblicità mirate. E indovinate chi sono i suoi clienti? Facebook, Google e Amazon.
La verità viene a galla: l’ascolto attivo esiste davvero
Per anni, tante persone hanno sospettato che i nostri telefoni ci ascoltassero di nascosto. Quante volte è capitato a qualcuno di parlare di un prodotto e poi vederlo apparire magicamente nelle pubblicità online? Ora arrivano le prime conferme. La Cox Media Group (CMG), un’agenzia di marketing, ha ammesso in una sua presentazione interna (visionata dal sito ) di utilizzare una tecnologia di “ascolto attivo” per captare le conversazioni degli utenti attraverso i microfoni dei telefoni.
Questa rivelazione arriva come un fulmine a ciel sereno nel mondo della tecnologia e della privacy. L’ascolto attivo, fino a ieri considerato una leggenda urbana, è ora una realtà confermata. E le implicazioni sono, a dir poco, inquietanti.
Come funziona l’ascolto attivo? L’assalto hi-tech alla privacy
Secondo quanto rivelato da CMG, l’ascolto attivo utilizza l’intelligenza artificiale per analizzare le conversazioni catturate dai microfoni degli smartphone. Questi dati vocali vengono poi combinati con informazioni comportamentali per creare profili di consumatori incredibilmente dettagliati. Il risultato? Pubblicità così mirate da sembrare… telepatiche.
Ma come fanno a giustificare legalmente questa pratica? Apparentemente, nascondendo il consenso nelle lunghe e noiose condizioni d’uso che nessuno legge mai. Geniale, no? O forse dovremmo dire, diabolico?
Il documento sottolinea che i consumatori “lasciano una traccia di dati basata sulle loro conversazioni e sul loro comportamento online” e che Active Listening raccoglie e analizza dati comportamentali e vocali da oltre 470 fonti.
I giganti tech nel mirino: chi sapeva cosa
La bomba è esplosa quando è emerso che tra i clienti di CMG figurano nomi del calibro di Facebook, Google e Amazon. Le reazioni? Un misto di negazioni, distanziamenti e “indagini interne”. Google ha prontamente rimosso CMG dal suo Programma Partner, mentre Meta (ex Facebook) ha dichiarato di non usare i microfoni per la pubblicità. Amazon? Ha minacciato azioni legali contro chiunque violi i suoi termini di servizio. Ma la domanda rimane: quanto sapevano queste aziende? E soprattutto, possiamo davvero fidarci delle loro smentite?
C’è poco da scherzare. L’ascolto attivo solleva questioni etiche e legali enormi. Se le aziende possono ascoltarci di nascosto, dove tracciamo il limite? La nostra privacy è ormai un antico ricordo (citofonare Durov). Il Mark Zuckerberg del 2018, testimoniando davanti al Congresso, negava categoricamente l’uso dei microfoni per la pubblicità. Oggi, quelle parole suonano vuote. La fiducia degli utenti nei giganti tech è stata tradita, e ricostruirla non sarà facile.
la slide che mostra i partner di CMG. Immagine: 404 media
Cosa possiamo fare? 4 pillole di resistenza digitale
Allora, dobbiamo gettare i nostri smartphone dalla finestra? Non proprio. Ma possiamo e dobbiamo essere più consapevoli. Ecco alcuni consigli:
Leggete attentamente i termini di servizio (sì, lo so, è noioso, ma necessario).
Controllate le autorizzazioni delle app sul vostro telefono.
Usate app e servizi che rispettano la privacy.
Fate sentire la vostra voce: chiedete trasparenza alle aziende tech.
Il CEO di Meta, Mark Zuckerberg ha negato davanti al Congresso USA di aver utilizzato tecnologie di ascolto attivo, mentre rispondeva alle domande sullo scandalo Cambridge Analytica e sull’interferenza russa nelle elezioni.
Il futuro dell’ascolto attivo: una battaglia per la privacy
Questa rivelazione potrebbe essere il catalizzatore per un cambiamento radicale nel mondo tech. Le autorità di regolamentazione stanno già fiutando l’aria, e non sarebbe sorprendente vedere presto nuove leggi sulla privacy. La vera domanda è la stessa di sempre. Ve la faccio spesso, su queste pagine: siamo disposti a sacrificare la nostra privacy sull’altare della comodità? O è giunto il momento di tracciare una linea? L’ascolto attivo non è più una teoria del complotto. E la palla ora è nel nostro campo. Possiamo ignorare il problema e continuare come se nulla fosse, o possiamo alzare la voce e pretendere il rispetto della nostra privacy compromessa più e più volte. La scelta è nostra.
Ora è legittimo dircelo: ogni volta che parlate vicino al vostro telefono, qualcuno (o qualcosa) potrebbe star ascoltando. E voi, cosa dite?
L’articolo Ascolto attivo su smartphone, ora ammettono: ‘spiamo per vendere’ è tratto da Futuro Prossimo.
Tecnologia, privacy, smartphone