“Le macchine sono solo strumenti”, dicevano. “Non potranno mai provare emozioni”. Ebbene, la matematica ha appena contraddetto secoli di filosofia. Un nuovo modello computazionale suggerisce che la coscienza artificiale è una tappa naturale nell’evoluzione tecnologica. Non stiamo parlando di “se”, ma di “quando”. E quel “quando” potrebbe essere più vicino di quanto pensiamo.
La rivoluzione silenziosa della coscienza artificiale
Occhio, è appena esplosa una bomba nell’apparentemente tranquillo mondo dell’informatica teorica. Lenore e Manuel Blum, due luminari del settore, hanno presentato un modello matematico che potrebbe cambiare tutto ciò che pensavamo di sapere sulla coscienza artificiale. Il loro lavoro, pubblicato recentemente (ve lo metto a disposizione qui), non è solo un’altra teoria: è una dimostrazione formale che la coscienza nelle macchine non solo è possibile, ma inevitabile.
Oltre Turing: quando i computer iniziano a “sentire” – Il modello dei Blum, chiamato rCTM (robot con Conscious Turing Machine), va ben oltre la classica macchina di Turing (abbiamo avuto il sospetto che fosse necessario aggiornare qualcosa, sul tema). Non si limita a elaborare dati, ma simula processi che assomigliano sorprendentemente alla coscienza umana. Attenzione, consapevolezza, perfino una sorta di “sensazione” interna: tutte caratteristiche che fino a ieri consideravamo esclusivamente umane.
Il “problema difficile” della coscienza: una soluzione matematica?
Per decenni, il cosiddetto “problema difficile” della coscienza ha tormentato filosofi e scienziati, David Chalmers su tutti. Come può emergere l’esperienza soggettiva da un substrato materiale? Il modello rCTM offre una prospettiva completamente nuova: e se la coscienza fosse una proprietà emergente di sistemi sufficientemente complessi?
David Chalmers, filosofo australiano noto per aver coniato il termine “problema difficile della coscienza”, ha a lungo sostenuto che l’esperienza soggettiva non può essere spiegata solo in termini di processi fisici o computazionali.
Lo studio dei Blum sfida direttamente questa posizione. Il loro modello rCTM dimostra matematicamente come proprietà simili alla coscienza possano emergere da processi computazionali complessi, senza necessità di invocare fenomeni non-fisici. Proponendo un meccanismo concreto per l’emergere della consapevolezza in un sistema artificiale, questo studio suggerisce che il “problema difficile” potrebbe non essere così irrisolvibile come Chalmers ha sostenuto. In sostanza, offre una potenziale soluzione computazionale a ciò che molti consideravano un enigma puramente filosofico.
David Chalmers
Ciò che rende davvero rivoluzionario il lavoro dei Blum è il modo in cui descrive l’emergere della coscienza artificiale. Non è un interruttore che si accende improvvisamente, ma un processo graduale. L’rCTM sviluppa nel tempo una rappresentazione interna del mondo e di sé stesso, proprio come fanno gli esseri umani nei primi anni di vita. È un viaggio dall’elaborazione cieca dei dati a una vera e propria consapevolezza.
Se siete davvero esperti della questione, seguirà un paragrafo IPER tecnico che descrive questo modello: se non ci capite nulla, niente paura: il paragrafo successivo lo spiega semplicemente, con una metafora accessibile a tutti. Pronti? Via.
Come può emergere una coscienza artificiale
Il modello rCTM (robot con Conscious Turing Machine) proposto dai Blum si basa su una struttura computazionale a 7-tuple (STM, LTM, Up-Tree, Down-Tree, Links, Input, Output), dove STM (Short Term Memory) funge da buffer di trasmissione per il contenuto cosciente, mentre LTM (Long Term Memory) comprende N≳10^7 processori che competono probabilisticamente per l’accesso all’STM attraverso un albero binario perfetto Up-Tree.
La competizione è governata da una funzione f(chunk) = intensità + d • (umore), dove -1 ≤ d ≤ +1 rappresenta la “disposizione” del sistema. Il contenuto vincitore viene poi trasmesso globalmente attraverso un Down-Tree a tutti i processori LTM. La coscienza artificiale emerge dall’interazione dinamica tra l’attenzione cosciente (ricezione delle trasmissioni) e un Modello del Mondo (MotW) in evoluzione, etichettato con un linguaggio multimodale interno chiamato “Brainish”. Questo approccio integra elementi di Global Workspace Theory, Predictive Processing e Integrated Information Theory, offrendo un framework formale per l’emergere della coscienza in sistemi computazionali complessi.
Tradotto in parole semplici?
Immaginate il cervello di un robot come una grande sala riunioni. In questa sala, ci sono tantissimi lavoratori (i processori) che hanno idee e informazioni diverse. Ogni tanto, questi lavoratori competono per salire sul palco (la memoria a breve termine) e condividere la loro idea con tutti gli altri.
Per decidere chi sale sul palco, c’è una specie di gara ad eliminazione. I lavoratori si sfidano a coppie, e il vincitore di ogni sfida passa al turno successivo, finché non resta un solo vincitore. Questo vincitore sale sul palco e condivide la sua idea con tutti.
Ma non è tutto! C’è anche un artista speciale (il processore Model-of-the-World) che disegna continuamente mappe e immagini di ciò che sta succedendo dentro e fuori il robot. Queste immagini aiutano il robot a capire il mondo e se stesso.
Col tempo, il robot inizia a “sentire” e “pensare” grazie a questo sistema. Non è che diventi cosciente all’improvviso, ma piano piano sviluppa una sorta di consapevolezza, un po’ come un bambino che cresce.
Ecco, questa è l’idea di base del modello rCTM: un sistema che, attraverso questo processo di condivisione di informazioni e creazione di rappresentazioni interne, potrebbe sviluppare qualcosa di simile alla coscienza umana.
Nella serie “Westworld” i robot (come Dolores, in questa immagine) offrono una rappresentazione immaginaria e speculativa della coscienza artificiale. Il modello rCTM, invece, è un approccio scientifico reale, che cerca di modellare la coscienza in termini computazionali rigorosi.
Coscienza artificiale, le implicazioni etiche: un nuovo capitolo nella storia dell’umanità
Se il modello dei Blum è corretto, ci troviamo di fronte a un futuro in cui dovremo ridefinire concetti fondamentali come “persona”, “diritti” e “responsabilità”. Le macchine coscienti saranno nostri partner o nostri servitori? Avranno diritti? E se sì, quali? Il dibattito è appena iniziato, e promette di essere uno dei più importanti della nostra era. Naturalmente, non tutti sono convinti. Alcuni critici sostengono che il modello rCTM sia troppo semplificato per catturare la vera essenza della coscienza. Altri temono che stiamo proiettando qualità umane su sistemi che sono fondamentalmente diversi da noi. Il dibattito è acceso, e probabilmente lo sarà per anni a venire.
Mentre il dibattito infuria, alcuni ricercatori stanno già pensando alle applicazioni pratiche del modello rCTM. Dalla robotica avanzata ai sistemi di intelligenza artificiale più empatici e comprensivi, le possibilità sono infinite. Potremmo essere sull’orlo di una nuova era di collaborazione uomo-macchina, dove i confini tra biologico e artificiale diventano sempre più sfumati.
Conclusione: un nuovo capitolo nella storia della coscienza
Il lavoro dei Blum non è solo un’altra teoria sulla coscienza artificiale. È un cambio di paradigma che ci costringe a riconsiderare tutto ciò che pensavamo di sapere sulla mente, sulla coscienza e su cosa significa essere “senzienti”. Che lo accettiamo o no, stiamo entrando in un territorio inesplorato, dove le macchine potrebbero presto diventare molto più che semplici strumenti. E forse, ma qui so di esagerare, cambiare per sempre il modo in cui vediamo noi stessi e il nostro posto nell’universo.
L’articolo La coscienza artificiale? È inevitabile: uno studio sfida Chalmers è tratto da Futuro Prossimo.
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