Presto potrebbero esserci robot assistenti che puliscono la casa, cucinano o si prendono cura degli anziani. Ma tra i video virali di Tesla e un annuncio al giorno della startup di turno si nasconde una domanda fondamentale: come costruiremo un rapporto di fiducia tra umani e macchine? Perché, se non è ancora chiaro a qualcuno, non è più una questione di tecnologia (e in tempi brevi non lo sarà nemmeno di economia). Ora dipende solo dall’accettazione sociale.
La corsa ai robot assistenti
Il settore sta vivendo un momento di straordinaria espansione. Figure ha raccolto 675 milioni di dollari per il suo robot umanoide nel 2024, a meno di due anni dalla fondazione. A ottobre, i robot Optimus di Tesla hanno catalizzato l’attenzione durante un evento aziendale, superando persino l’interesse per il nuovo taxi a guida autonoma del marchio.
Elon Musk si è spinto a dichiarare che questi robot potrebbero “costruire un futuro senza povertà”. Suona iperbolico, se pensate che lui è l’essere umano che al momento è più lontano di tutti dalla povertà. Quanto c’è di vero in queste promesse? Non mi dite “il 100%”: non esiste.
La realtà dietro l’hype
Anzitutto, le basi. Ok, dopo le fabbriche i robot assistenti si faranno strada in ospedali, alberghi, ristoranti, negozi e pure case private, ma i progressi recenti sembrano più legati all’apparenza che alla sostanza. L’intelligenza artificiale ha certamente reso i robot molto, molto più facili da addestrare, ma manca ancora una vera autonomia.
Leila Takayama, vicepresidente di Robust AI, spiega: “siamo al picco dell’hype. C’è una sorta di corsa agli armamenti tra le grandi aziende tech. Ogni roboticista che non lavora su umanoidi deve giustificarsi con gli investitori. Un anno fa non era così.” Occhio agli early adopter, quindi: bravi, pionieri, ma si rischiano dei buchi nell’acqua mostruosi.
Il caso Prosper e Alfie
Shariq Hashme, ex dipendente di OpenAI e Scale AI, è entrato in questa competizione nel 2021 con Prosper. L’azienda sta sviluppando Alfie, un robot assistente per compiti domestici in case, ospedali e hotel, con un prezzo previsto tra 10.000 e 15.000 dollari. Quello che rende interessante il progetto, però, non è tanto la tecnologia quanto l’approccio alla fiducia.
Perché siamo così affascinati dall’idea di costruire una replica di noi stessi?
Guy Hoffman, esperto di robotica della Cornell University, solleva una questione cruciale. L’argomento principale a favore dei robot umanoidi, lo sapete, è prima di tutto funzionale: i nostri ambienti sono progettati per esseri umani, quindi una forma umanoide sarebbe più efficace. Ma Hoffman suggerisce che ci sia altro: “con questo tipo di design, stiamo vendendo una storia sui robot assistenti. Una storia che racconta di capacità. Vedendoli come noi, siamo subito portati a pensare che siano in qualche modo equivalenti a noi o alle cose che possiamo fare.”
Ma la realtà, come vi dicevo, è più complessa di quanto suggeriscano i video dimostrativi.
La maggior parte dei robot mostrati non è completamente autonoma ma viene controllata da umani attraverso la teleoperazione. Il primo modello di Alfie gestirà autonomamente solo il 20% dei compiti, una limitazione significativa che solleva questioni etiche importanti.
Chi ce lo mette quel restante 80% di azioni e capacità? Indovinate. Qui si apre una fase di transizione piuttosto bizzarra. Prosper prevede di utilizzare “assistenti remoti” nelle Filippine per controllare i movimenti di Alfie. Questa scelta ricorda le criticità già emerse nel settore dell’AI: persone sottopagate nei paesi in via di sviluppo che lavorano come lavapiatti in case a migliaia di chilometri di distanza, usando come “avatar” tecnologie apparentemente autonome.
Come si costruisce la fiducia quando il robot è essenzialmente un’interfaccia per operatori remoti?
Robot assistenti, alla ricerca dell’equilibrio perfetto
Buck Lewis, ex animatore Pixar che ha creato personaggi per film come Cars e Ratatouille, ora guida il design di Alfie. Il suo approccio si basa sul principio di Rodney Brooks, fondatore di iRobot: “L’aspetto visivo di un robot fa una promessa sulle sue capacità. Deve mantenere quella promessa o superarla leggermente, altrimenti non sarà accettato.”
Certo, Alfie avrà ruote invece di gambe per maggiore stabilità, ma manterrà braccia e testa. L’obiettivo è creare qualcosa di chiaramente robotico ma affidabile. Come spiega Lewis: “L’antitesi della fiducia sarebbe progettare un robot che cerca di emulare un umano… e misura il suo successo in base a quanto bene ti ha ingannato.”
Le implicazioni etiche e sociali
La diffusione dei robot assistenti solleva questioni profonde. Come gestiranno la privacy domestica? Come impatteranno sul mercato del lavoro? L’utilizzo di operatori remoti in paesi a basso reddito mitigherà la piaga dell’emigrazione (leggete bene: emigrazione, non immigrazione) o creerà l’ennesima, nuova forma di disuguaglianza globale?
Fitzgerald Heslop, esperto di servizi di alta ospitalità, vede potenziale nei robot assistenti ma sottolinea l’importanza della discrezione. La sua esperienza nella formazione di maggiordomi per alti funzionari del Dipartimento della Difesa USA offre spunti interessanti per lo sviluppo di robot di servizio affidabili.
La vera rivoluzione dei robot assistenti non sarà solo tecnologica ma anche sociale e culturale. Dovranno guadagnarsi la nostra fiducia non attraverso promesse grandiose ma con affidabilità quotidiana e rispetto per la privacy.
Robot assistenti, la forma della fiducia
Il settore è a un punto di svolta. Le grandi aziende investono miliardi, ma il successo dipenderà da pochi, importantissimi dettagli (che a ben guardare, essendo alla base di un legame, non sono dettagli). Come osserva la Takayama: “Non si tratta solo di costruire robot più capaci, ma di creare robot con cui le persone vogliano davvero interagire.”
La strada verso l’accettazione dei robot assistenti è tutta da fare, non bastano gli “entusiasti”: anche loro, magari, metteranno sotto chiave i loro robot assistenti quando andranno a dormire, per la paura irrazionale che vengano a soffocarli nel letto.
A parte gli scherzi (o le provocazioni), non basterà superare le sfide tecniche: servirà costruire un nuovo tipo di relazione tra umani e macchine. Vale sia per gli utenti che per chi lavorerà “dietro” le macchine. Una relazione basata su fiducia, trasparenza e rispetto reciproco. Solo allora potremo parlare di una vera rivoluzione nella robotica domestica.
L’articolo Robot assistenti: ci fideremo mai di loro? è tratto da Futuro Prossimo.
Tecnologia