“Natura selvaggia sì, ma senza rinunciare alla doccia calda”. Potrebbe essere questo il motto non ufficiale del glamping, quel fenomeno turistico che sta conquistando viaggiatori di ogni età e budget. L’ho scoperto quasi per caso, lo scorso luglio, durante un weekend in Toscana con la mia agenzia, quando ho incrociato una coppia di settantenni entusiasti della loro yurta mongola con pavimento riscaldato.
E ho capito che non si trattava dell’ennesima moda passeggera per hipster in cerca di like, ma di qualcosa di più profondo: il desiderio di riconnettersi con l’ambiente, ma senza soffrire. Perché, ammettiamolo, dormire sul terreno non è mai stato il massimo.
Il lusso che si fa verde, e non per moda
Il glamping non è semplicemente l’ultima trovata del marketing turistico; è una risposta (forse l’unica sensata) all’eterno dilemma del viaggiatore contemporaneo: come immergersi nella natura senza ritrovarsi con la schiena distrutta e i capelli che sembrano un nido di vespe arrabbiate. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una proliferazione impressionante di strutture che promettono questa quadratura del cerchio: dalle bolle trasparenti per guardare le stelle ai container trasformati in suite di design in mezzo ai boschi.
Il bello è che tutto questo avviene (o dovrebbe avvenire, almeno sulla carta) nel rispetto dell’ambiente. La maggior parte delle strutture di glamping utilizza infatti materiali eco-compatibili, sistemi di recupero dell’acqua piovana, energia solare. C’è persino chi composta i rifiuti organici per fertilizzare l’orto da cui provengono le verdure servite a cena.
E c’è una buona notizia, anche: se da un lato questa sostenibilità ha un prezzo, spesso non proprio accessibile a tutti, è anche vero che questa nuova consapevolezza “trasversale” sta aumentando la domanda e l’offerta, con prezzi che in diversi casi sono più che sostenibili.

Glamping, da status symbol a fenomeno di massa?
Vi ricordate quando i festival musicali erano sinonimo di tende improvvisate, sacchi a pelo umidi e code interminabili per i bagni chimici? Ecco, dimenticatelo. Il glamping ha colonizzato anche quegli spazi sacri di libertà e trasgressione giovanile. Prendete il Coachella (il festival californiano dove si va più per essere visti che per ascoltare musica): le tende luxury sono diventate lo status symbol per eccellenza, il modo per dire “voglio godermi tutto”.
Lusso outdoor, dunque: eppure c’è anche tanto di autentico. Perché nel momento in cui senti il profumo della resina di pino entrare dalla tua finestra o osservi un cervo passare a pochi metri mentre fai colazione, capisci che l’esperienza vale il prezzo del biglietto. Il glamping, con tutte le sue contraddizioni, resta uno dei modi più interessanti per riavvicinarsi alla natura senza doversi trasformare in Bear Grylls.
La democratizzazione della wilderness (con qualche comfort)
Parliamoci chiaro: non tutti sono nati per essere esploratori. C’è chi non riesce a dormire senza una doccia calda prima, chi soffre di mal di schiena al solo pensiero di un materassino gonfiabile, chi semplicemente non vuole rinunciare al piacere di un buon caffè al risveglio. E chi lo ha detto che hanno torto? Ognuno ha le sue necessità.
Alla fine il glamping ha reso accessibile l’esperienza outdoor a una fetta di popolazione che altrimenti non avrebbe mai messo piede in un bosco dopo il tramonto.
Famiglie con bambini piccoli, persone anziane, chi ha limitazioni fisiche; e anche, ammettiamolo, quelli che semplicemente non vogliono sacrificare il comfort sull’altare dell’autenticità. È davvero un male? Non credo. Se il risultato è che più persone scoprono la bellezza di un cielo stellato non filtrato dall’inquinamento luminoso delle città, o il silenzio assoluto di una foresta all’alba, ben venga anche il bagno con idromassaggio nascosto tra gli alberi.

La vera sfida del glamping nei prossimi anni?
Trovare un equilibrio tra l’accessibilità economica e la sostenibilità ambientale. Come detto, fioriranno soluzioni intermedie, glamping “entry level” che mantengono la dignità dell’esperienza a buon prezzo.
Il glamping migliore è quello che trova un equilibrio, che offre comfort senza cancellare completamente la dimensione avventurosa e sorprendente della natura. Certo, bisogna anche saper cercare il posto giusto (se volete una mano ci sono siti “cerca glamping” fortissimi, tipo pincamp.it), ma ne vale la pena. Forse la soluzione sta nella personalizzazione dell’esperienza: strutture che permettano di scegliere il proprio livello di “wilderness”, dal quasi-campeggio con qualche comfort in più fino alla goduria esclusiva e totale. Perché, in fondo, l’autenticità non sta negli oggetti o nei servizi, ma nella qualità dell’esperienza che viviamo.
E se questa esperienza include svegliarsi all’alba per vedere il sole nascere dietro le montagne, poco importa se poi torniamo in una tenda con pavimento riscaldato o in un sacco a pelo umido. L’importante è che quel momento ci abbia toccato davvero. Anche a costo di pagarlo un po’ di più.
L’articolo Glamping: quando la natura incontra il lusso (e tu inizi a respirare) è tratto da Futuro Prossimo.
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