Quante volte avete pensato che nulla potrà mai sostituire il calore umano nell’assistenza agli anziani? Eppure, mentre cercherete un regalo per un parente con Alzheimer, potreste ritrovarvi presto a valutare l’acquisto di un cane robotico. Uno come Golden Pup, ad esempio. Non è un semplice giocattolo: muove la testa, abbaia quando gli si parla, scodinzola al tocco e ha persino un battito cardiaco. È solo uno dei tanti robot sociali progettati per le persone con demenza, in un mercato che spazia dai peluche economici ai sofisticati assistenti AI da 6.000 euro.
Soluzioni tecnologiche che sollevano domande profonde: stiamo abdicando alle nostre responsabilità sociali, trovando nuovi strumenti per arricchire vite limitate dalla malattia, o un mix di entrambe le cose in proporzioni variabili?
La gamma dei robot sociali per l’assistenza
Il Golden Pup di cui vi parlavo è l’esempio più accessibile, con un prezzo di circa 140 euro. Ma per chi può permetterselo, Paro rappresenta un salto qualitativo impressionante, il punto più avanzato della ricerca sui robot sociali. Questo cucciolo di foca robotico da 6.000 euro, sviluppato in Giappone, percepisce il tatto, la luce, il suono, la temperatura e persino la postura. Secondo il produttore, Paro sviluppa un proprio carattere, memorizzando i comportamenti che spingono il proprietario a prestargli attenzione.
Ed è solo l’inizio. I laboratori di ricerca stanno lavorando a qualcosa di ancora più sofisticato. All’Università dell’Indiana Bloomington stanno modificando un sistema di robot chiamato QT, specificamente per le persone con demenza e Alzheimer. Questi robot alti circa 60 centimetri, somiglianti a piccoli astronauti, hanno una testa bianca rotonda con uno schermo che mostra sopracciglia, occhi e bocca capaci di formare varie espressioni. Possono intrattenere conversazioni usando domande generate dall’intelligenza artificiale.
I ricercatori dell’Università della California di San Diego scrivono: “Siamo attualmente a un punto di svolta, dove sta diventando relativamente facile ed economico sviluppare e implementare questi robot per fornire interventi personalizzati alle persone con demenza, e molte aziende stanno cercando di capitalizzare questa tendenza.” – Da uno studio del 2021

I vantaggi dell’assistenza “inumana” (ma non dis-umana)
Per qualcuno suonerà paradossale, ma i robot sociali hanno alcuni vantaggi sui caregiver umani nella gestione delle persone con demenza. Anzitutto, la loro attenzione non cala mai. Non si irritano né si arrabbiano quando devono ripetersi. Non possono stressarsi. Sembrano la soluzione perfetta per rispondere a un problema sempre più pressante: la carenza di personale.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Associazione Alzheimer, entro il 2031 avremo bisogno di oltre un milione di operatori sanitari in più per soddisfare le esigenze delle persone affette da demenza. È il divario più ampio tra domanda e offerta di lavoro per qualsiasi occupazione.
Siete mai stati in una struttura di cura che si trova in condizioni di sotto organico? Io sì. I pazienti vengono spesso sedati per renderli più gestibili; li legano alle sedie a rotelle e li parcheggiano nei corridoi. Abbiamo a malapena abbastanza operatori sanitari per occuparci delle esigenze fisiche delle persone con demenza, figuriamoci fornire loro connessione sociale e un ambiente stimolante. Bisogna potenziare in modo assoluto la presenza degli operatori socio sanitari e gli organici di queste strutture: ma se non dovesse bastare?
Gli aspetti controversi dell’assistenza robotica
Non tutti accolgono con entusiasmo l’idea di usare robot sociali per mantenere impegnati e connessi i pazienti con demenza. Alcuni la considerano un’abdicazione delle nostre responsabilità sociali. E poi ci sono le preoccupazioni sulla privacy. I migliori compagni robotici sono personalizzati: raccolgono informazioni sulla vita delle persone, imparano ciò che piace e non piace, e capiscono quando avvicinarsi. Un tipo di raccolta dati che può essere snervante, non solo per i pazienti ma anche per il personale medico.
Lillian Hung, creatrice del laboratorio di Innovazione nella cura della demenza e dell’Invecchiamento (IDEA) all’Università della British Columbia a Vancouver, ha raccontato un episodio emblematico: durante una pausa pranzo di un focus group in una struttura assistenziale, lei e i suoi colleghi hanno scoperto al loro ritorno che il personale aveva staccato la spina al robot e gli aveva messo un sacchetto sulla testa. “Erano preoccupati che stesse registrandoli segretamente,” ha spiegato.
Robot sociali, il futuro della cura attraverso la tecnologia
“L’assistenza non riguarda solo l’attenzione alle preoccupazioni corporee; significa anche prendersi cura dello spirito,” scrive Kat McGowan in un toccante articolo su Wired sulla demenza dei suoi genitori e sulle promesse dei robot sociali. “Le esigenze degli adulti con e senza demenza non sono così diverse: tutti cerchiamo un senso di appartenenza, di significato, di autorealizzazione.”
Se i robot sociali possono arricchire la vita delle persone con demenza anche nel più piccolo dei modi, e se possono fornire compagnia dove non esiste, questo è già un successo.
“L’assistenza non riguarda solo l’attenzione alle preoccupazioni corporee; significa anche prendersi cura dello spirito.”
I modelli linguistici più avanzati, come il recente GPT-4o di OpenAI, stanno rendendo le conversazioni con questi dispositivi sempre più naturali e fluide. E mentre la tecnologia continua a migliorare, mi chiedo: forse un giorno questi freddi cuori di silicio riusciranno a scaldare davvero l’inverno esistenziale della demenza? Non sostituiranno mai la connessione umana autentica, ma in un mondo di risorse limitate, potrebbero diventare i compagni silenziosi che tengono a bada la solitudine quando nessun altro può essere presente.
L’articolo Cuore di silicio: quando i robot sociali alleviano la solitudine è tratto da Futuro Prossimo.
Robotica, Demenza