Tokyo Sympathy Tower, l'imperdibile libro scritto (un po') dall'AI Futuro Prossimo

Tokyo Sympathy Tower, l’imperdibile libro scritto (un po’) dall’AI Futuro Prossimo

Le parole contengono potere. Potere di creare, potere di distruggere, potere di ridefinire la realtà. Lo sa bene l’architetto protagonista di Tokyo Sympathy Tower, che con un semplice gioco linguistico trasforma una prigione in un monumento alla compassione. Nell’opera di Qudan Rie, vincitrice dell’Akutagawa Prize e appena uscita in Italia edita da Ippocampo, assistiamo alla nascita di una nuova Babele contemporanea: un grattacielo carcerario di 71 piani dove i criminali, ribattezzati “vittime della società”, vivono nel lusso.

Un romanzo che ha fatto scalpore non solo per la sua trama provocatoria, ma anche perché l’autrice ha ammesso di aver utilizzato l’intelligenza artificiale per scriverne il 5%. Ironia della sorte, in un libro che esplora come il linguaggio possa essere manipolato per ridefinire la realtà. Ne ho parlato con la stessa autrice, in un botta e risposta “epistolare”, come ai vecchi tempi.

Una Babele contemporanea

La Tokyo Sympathy Tower è, nelle parole della stessa autrice, una “Torre di Babele ricreata”. Un edificio che, come il suo antenato biblico, ha il potere di “gettare nel disordine il nostro linguaggio e di spezzare il mondo”. Non è un caso che questo imponente grattacielo di 71 piani sorga proprio accanto allo stadio progettato da Zaha Hadid (un dettaglio che distingue questa realtà alternativa dalla nostra, dove lo stadio fu poi ridisegnato da Kengo Kuma). Nell’immagine di copertina vedete una ricostruzione artistica generata dall’AI e basata su come la immagino io (esperimento nell’esperimento).

Si tratta di un mondo in cui le Olimpiadi di Tokyo si sono svolte regolarmente nel 2020, nonostante la pandemia. Un mondo in cui l’architetto protagonista, Sara Makina, si innamora perdutamente della bellezza di quello stadio e decide che la sua creazione (la prigione di lusso che vi dicevo) deve esserne all’altezza. E così nasce Sympathy Tower, Tokyo. Un nome in katakana che riflette perfettamente una certa tendenza giapponese all’abbandono della propria lingua. Un tema, leggerete, caro all’autrice.

La trasformazione del linguaggio in Tokyo Sympathy Tower

Nel mondo immaginato da Qudan Rie, il giapponese sta progressivamente scomparendo, sostituito da prestiti linguistici che, nella mente della protagonista, servono principalmente a “evitare un senso di disuguaglianza o espressioni discriminatorie”. Le parole straniere vengono percepite come più morbide, più eufemistiche. “Quando non sanno cosa fare, le persone ricorrono immediatamente a una parola straniera. Ed è buffo come spesso questo risolva tutto”, riflette la protagonista Sara.

È proprio questa manipolazione del linguaggio che permette la trasformazione più radicale all’interno del romanzo: i criminali non sono più chiamati tali, ma Homo miserabilis. Sono vittime dell’ambiente in cui sono nati e cresciuti, meritevoli di simpatia e di un trattamento di favore. La prigione diventa un luogo dove gli internati possono vestire abiti alla moda, bere caffè, guardare DVD e godersi una vista spettacolare sulla città. Un paradiso carcerario che suscita inevitabilmente proteste e minacce.

L’AI nel romanzo (e nella realtà)

Il romanzo ha fatto scalpore quando Qudan ha rivelato di aver utilizzato l’intelligenza artificiale generativa per scriverne una piccola parte. Una dichiarazione che ha provocato un’ondata di attenzione mediatica, come l’autrice stessa mi ha confidato:

Il cambiamento nel mio modo di pensare riguardo all’intelligenza artificiale non è avvenuto dopo aver scritto “Tokyo Sympathy Tower”, ma dopo che l’uso dell’AI nel mio romanzo è stato ampiamente trattato dai media. Sono rimasta sopraffatta dalla portata della reazione umana al fatto che un romanzo fosse stato scritto con l’ausilio dell’AI.

Nel romanzo, l’interazione con l’AI avviene attraverso il personaggio di Sara, che pone domande al computer. Sono proprio queste le scene in cui l’autrice ha davvero utilizzato l’intelligenza artificiale. Qudan ha successivamente spiegato sulla rivista Bungei Shunjū che l’idea del romanzo, la prosa, i dialoghi e la caratterizzazione dei personaggi sono tutti originali. L’AI è stata utilizzata solo dove era necessario.

Una relazione complicata con la tecnologia

L’opinione della protagonista sull’intelligenza artificiale è tagliente: “Odio questa specie di mansplaining, quando inizia a spiegare cose che non ho nemmeno chiesto… Non importa quanta capacità di apprendimento abbia, non ha la forza di affrontare le proprie debolezze. È così abituata a cavarsela rubando parole, che non dubita né si vergogna della propria ignoranza”. Una posizione interessante (e tutto sommato condivisibile)

Ma qual è la vera opinione di Qudan Rie sull’intelligenza artificiale? Le ho chiesto se il suo approccio è cambiato dopo aver scritto il romanzo:

In realtà, non sono particolarmente interessata all’intelligenza artificiale in sé. Sono molto più interessata alle persone che la usano. Mi incuriosisce capire come l’AI cambierà la vita umana e fino a che punto l’uomo riuscirà a controllarla. Dato che l’AI è una tecnologia basata su dati umani, è evidente che l’essere umano è già presente all’interno dell’AI. E così come c’è una presenza umana dentro l’AI, io stessa ho la sensazione che l’AI sia ormai già dentro l’essere umano, o perlomeno che condividiamo una parte del nostro pensiero con essa.

Questa riflessione rivela una consapevolezza profonda della reciproca influenza tra umani e intelligenza artificiale. È vero, lo penso anch’io: non si tratta solo di uno strumento che utilizziamo, ma di qualcosa che ci sta già modificando dall’interno.

Qudan Rie tra speranza e timore

Mi ha colpito particolarmente l’equilibrio con cui Qudan guarda al futuro della tecnologia:

Nei confronti di questa situazione, provo sia un senso di pericolo che di aspettativa. Il senso di pericolo riguarda il rischio che, accettando automaticamente i suggerimenti dell’AI, l’essere umano smetta di pensare autonomamente. O che si finisca per delegare i criteri di ciò che è giusto all’AI. Dall’altra parte, se si riuscisse a utilizzare l’AI in modo intelligente, senza rinunciare al proprio pensiero, potrebbe diventare uno strumento per rafforzare il nostro modo di pensare o per conoscere più a fondo l’essere umano.

E se le chiedessi quali parti del suo stile letterario affiderebbe completamente all’intelligenza artificiale?

Se si tratta di un lavoro che può concludersi semplicemente imitando uno stile del passato, allora vorrei affidarlo completamente all’intelligenza artificiale. Per esempio, per i testi da usare nelle comunicazioni e-mail di tipo amministrativo, un mio clone sarebbe più che sufficiente. Vorrei affidare quei compiti al clone e dedicare il tempo risparmiato a lavori più creativi.

In sintesi, Tokyo Sympathy Tower è un’utopia o una distopia?

Tokyo Sympathy Tower

“Tokyo Sympathy Tower” si conclude nel 2030, con l’imponente struttura di 71 piani finalmente completata. Dal piano più alto si gode di una vista spettacolare, si possono osservare le vite di tutte le persone lì sotto. I prigionieri, o meglio, le vittime della società, vivono in un’apparente utopia di uguaglianza e libertà.

Ma è davvero un’utopia? O si tratta piuttosto di una distopia mascherata, come quelle descritte in “1984” di George Orwell o nelle opere di Tawada Yōko (The Emissary e Scattered All Over the Earth)?

Mi piace pensare che Qudan Rie ci stia mostrando quanto sottile sia il confine tra questi due concetti. Come il linguaggio possa essere manipolato per ridefinire la realtà. Come le parole possano costruire torri di Babele contemporanee, destinate (forse) a crollare sotto il peso delle loro stesse contraddizioni.

In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale sta riscrivendo le regole della creatività e della comunicazione, “Tokyo Sympathy Tower” è un piccolo, bellissimo monumento alla complessità del nostro rapporto con la tecnologia e con il linguaggio.

Un romanzo che, paradossalmente, ha saputo usare l’AI per metterci in guardia contro i pericoli di affidarci troppo ad essa. Un’opera che, come la torre che descrive, ci invita a guardare il mondo dall’alto, a vedere le contraddizioni e le bellezze della nostra società, e forse a domandarci: stiamo costruendo un’utopia o una distopia?

Non potete, non dovete assolutamente perderlo. Ve lo consiglio al 100%!

L’articolo Tokyo Sympathy Tower, l’imperdibile libro scritto (un po’) dall’AI è tratto da Futuro Prossimo.

Comunicazione, Libri 

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