Tardigradi tatuati: chi ha dato l'ago in mano agli scienziati? Futuro Prossimo

Tardigradi tatuati: chi ha dato l’ago in mano agli scienziati? Futuro Prossimo

C’è chi si fa tatuare il nome dell’amato e chi, invece, tatua minuscoli orsetti d’acqua per la gloria della scienza. Perché? Perché possiamo, direbbero certi scienziati. E perché no, aggiungeremmo noi. In un mondo dove un capello è grosso come un’autostrada rispetto a un tardigrado, riuscire a inciderci sopra delle figure è più che arte: è una sfida alle leggi della fisica, della biologia, e probabilmente anche del buon senso.

I protagonisti di questa micro-follia, lo avrete capito, sono i tardigradi, creaturine leggendarie per la loro resilienza. Quando il mondo intorno a loro diventa un inferno ghiacciato o bollente, loro non si lamentano: si “addormentano” in uno stato chiamato criptobiosi, praticamente diventando immortali in stand-by. Perfetti, insomma, per reggere “botte” di nanotecnologia senza piagnistei.

Come si incide un tatuaggio su un tardigrado

“Tatuare” un tardigrado non è questione di miniaturizzare un ago da studio hipster. Gli scienziati hanno dovuto inventarsi una procedura piuttosto avanzata. Prima li hanno messi in tun state, quella versione disidratata e coriacea che li rende inarrestabili; poi li hanno congelati a -143°C, tanto per non rischiare che si ribellassero.

E lì è partita la magia: uno strato di anisolo (un liquido che profuma di anice ma in laboratorio diventa serio) è stato steso sul loro corpo, congelato, e colpito da un fascio di elettroni con una tecnica chiamata ice lithography. Dove il raggio toccava, il ghiaccio reagiva, fissando il disegno direttamente sulla pelle dell’orsetto.

Risultato? Micro-tatuaggi dettagliati fino a 72 nanometri, incisi su esseri viventi. Per capirci: un capello umano è circa mille volte più spesso. Il vero miracolo? Quasi la metà dei tardigradi tatuati è sopravvissuta, zampettando via dal laboratorio come piccoli motociclisti interstellari.

Perché tatuare tardigradi non è solo un vezzo

“Questo studio dimostra con successo la fabbricazione in situ di micro/nanopattern su organismi viventi usando la ice lithography”, hanno scritto sobriamente gli scienziati nel loro paper. Ma dietro quel linguaggio da burocrati della scienza si nasconde una visione ben più elettrizzante.

Tatuare tardigradi non è una bizzarria da scienziati annoiati: è un test di fattibilità per creare sensori biologici, dispositivi biocompatibili, magari perfino micro-robot viventi.

“Inoltre, il nostro approccio potrebbe essere applicabile anche ad altri organismi con alta resistenza allo stress o adatti alla criopreservazione,” conclude il team.

Insomma: questi esperimenti potrebbero essere l’inizio di un’epoca in cui manipoliamo la materia vivente con la stessa facilità con cui oggi scriviamo su un vetro appannato.

Il futuro inciso in pelle microscopica

Che vi piaccia o no l’idea di tatuare creature viventi, la domanda resta: siamo pronti a convivere con micro-macchine biologiche che portano inciso il nostro lavoro? Forse no. Ma d’altra parte, i tardigradi (impassibili, tatuati e tosti come pochi) sembrano dirci che la strada è tracciata.

Personalmente? Se un giorno mi toccherà stringere la mano (o la zampetta) a un microrobot tatuato, voglio almeno scegliere il disegno: magari una piccola ancora, per ricordare a tutti che, in mezzo a tutte queste rivoluzioni, un po’ di umanità dobbiamo tenercela stretta.

L’articolo Tardigradi tatuati: chi ha dato l’ago in mano agli scienziati? è tratto da Futuro Prossimo.

Tecnologia, nanotecnologia, Tardigradi 

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