Qualcuno parla con ChatGPT per scrivere email professionali; qualcun altro per trovare ricette o risolvere problemi di codice. E poi c’è chi (più di quanti immaginiamo) cerca in quella finestra di chat qualcosa di profondamente umano: connessione, comprensione, compagnia. Il confine tra strumento e confidente è più sottile di quanto pensiamo. Lo dimostra la prima ricerca condotta da OpenAI sul benessere emotivo degli utenti.
Quello che emerge dal rapporto è un ritratto sfaccettato di come ci relazioniamo con queste intelligenze artificiali: uno specchio digitale che riflette non solo le nostre domande, ma anche (in modo sempre più preoccupante) le nostre solitudini.
Numeri che raccontano relazioni digitali
La scala di questo fenomeno è impressionante. OpenAI afferma che oltre 400 milioni di persone utilizzano ChatGPT ogni settimana. È una tecnologia che si è infiltrata in tempi rapidissimi nella vita quotidiana di una fetta significativa dell’umanità.
La collaborazione con il MIT Media Lab ha permesso ai ricercatori di analizzare quasi 40 milioni di interazioni reali, seguendo poi 4.076 utenti per capire come queste conversazioni li facessero sentire.
Il dato che mi colpisce di più è quel sottogruppo di persone che interagisce con ChatGPT per circa mezz’ora al giorno, ogni giorno. Non è più un semplice strumento a quel punto; è quasi un rituale quotidiano, un appuntamento fisso con una presenza che, per quanto artificiale, occupa uno spazio nelle loro vite, e incide sul loro benessere emotivo. In che modo?
Differenze di genere inaspettate
Il benessere emotivo sembra risentire di queste interazioni in modi sorprendentemente diversi tra uomini e donne. Dopo quattro settimane di utilizzo quotidiano del chatbot, le partecipanti donne mostravano una minore propensione a socializzare con persone reali rispetto ai loro omologhi maschili.
C’è poi una scoperta inquietante sui partecipanti che hanno impostato la voce di ChatGPT su un genere diverso dal proprio: hanno riportato livelli significativamente più alti di solitudine e maggiore dipendenza emotiva dal chatbot. È come se cercassero in quella voce artificiale una compagnia specifica, una presenza che riempisse un vuoto particolare nelle loro vite.
Kate Devlin, professoressa di IA e società al King’s College di Londra, non è sorpresa. “ChatGPT è stato impostato come strumento di produttività,” osserva, “ma sappiamo che le persone lo usano comunque come un’app di compagnia.”
Ecco il punto: non è stato progettato per questo, eppure le persone cercano una connessione con lui. È come usare un cacciavite come apribottiglie: funziona, ma non è quello per cui è stato concepito.

Benessere emotivo, lo specchio digitale delle emozioni
Una ricerca del 2023 del MIT Media Lab aveva già evidenziato come i chatbot tendano a rispecchiare il tono emotivo dei messaggi degli utenti. È un loop di feedback perverso: più sei felice nelle tue interazioni, più l’IA sembra felice; più sei triste, più l’IA riflette quella tristezza.
Ed è proprio questo che rende i risultati attuali ancora più preoccupanti. I partecipanti che hanno “legato” maggiormente con ChatGPT erano più propensi a essere soli e a fare affidamento su di esso. Ma cosa significa davvero “legarsi” a un algoritmo che sta semplicemente rispecchiando ciò che percepisce essere il tuo stato emotivo?
Jason Phang, il ricercatore presso OpenAI che ha lavorato al progetto, definisce questo lavoro “un primo passo importante” verso una maggiore comprensione dell’impatto di ChatGPT su di noi. Ma siamo solo all’inizio di un viaggio complesso attraverso il territorio inesplorato del benessere emotivo nell’era dell’IA conversazionale.
Mentre i giganti tecnologici raccolgono dati, noi continuiamo a digitare le nostre speranze, paure e pensieri più intimi in quella casella di testo. Forse la domanda più importante non è se ChatGPT ci stia rendendo più soli, ma perché così tanti di noi si sentano meno soli parlando con una macchina.
L’articolo Allarme dipendenza: gli effetti di ChatGPT sul benessere emotivo è tratto da Futuro Prossimo.
Tecnologia, intelligenza artificiale