Caccia alla prossima pandemia? Non è inevitabile Futuro Prossimo

Caccia alla prossima pandemia? Non è inevitabile Futuro Prossimo

Il mondo ha appena iniziato a lasciarsi il Covid alle spalle, e all’orizzonte il tam tam mediatico profila già l’ombra della prossima pandemia. Niente pipistrelli o pangolini, questa volta potrebbe arrivare da un ospite “familiare”: il pollame. L’influenza aviaria, causata dal virus H5N1, sta infatti registrando un preoccupante aumento di casi, non solo tra gli uccelli ma anche nei mammiferi.

Dal 2023 c’è stato un piccolo, ma significativo boom di persone infettate, con un tasso di mortalità del 30%. È bastato perché l’H5N1 scalasse rapidamente la lista delle priorità per le autorità sanitarie di tutto il mondo. La domanda che tutti si pongono è: sarà questa la prossima grande minaccia pandemica?

H5N1: una minaccia crescente

L’influenza aviaria H5N1 non è una nuova arrivata sulla scena delle zoonosi potenzialmente pandemiche. Questo virus circola da anni negli uccelli selvatici e negli allevamenti avicoli, causando periodicamente focolai ad alta mortalità. Negli ultimi tempi, però, qualcosa sembra essere cambiato. Il virus sta mostrando una preoccupante tendenza ad adattarsi a nuovi ospiti: diversi focolai sono stati rilevati in bovini da latte in diversi paesi, e persino in cavalli in Mongolia.

Ma è soprattutto, come vi dicevo, il balzo dei contagi umani a far scattare il campanello d’allarme. L’H5N1 sembra aver sviluppato una maggiore capacità di infettare la nostra specie. Finora, i contagi sembrano derivare principalmente dal contatto diretto con animali infetti o dal consumo di latte crudo, e il virus non mostra ancora una trasmissione sostenuta da uomo a uomo. Ma questo potrebbe cambiare, portando alla prossima pandemia.

La mutazione che tutti temono

A separare l’H5N1 dalla capacità di diffondersi efficacemente tra gli umani potrebbe essere una singola, fatidica mutazione genetica. È quanto emerge da un recente studio pubblicato su Science (ve lo linko qui) che ha analizzato il genoma virale.

I virus influenzali, per infettare le cellule, devono legarsi a specifici recettori di superficie chiamati acido sialico. Quelli aviari sono adattati alla versione “aviaria” di questi recettori, ma con delle modifiche potrebbero agganciarsi perfettamente anche a quelli umani.

Una sola mutazione puntiforme in una proteina chiave, avvertono i ricercatori, potrebbe conferire all’H5N1 la temuta capacità di trasmissione interumana. Una prospettiva che, con i tassi di mortalità attuali del 30%, fa tremare i polsi anche ai più ottimisti. Se il virus dovesse acquisire questa abilità, il mondo potrebbe trovarsi di fronte a una nuova, devastante pandemia nel giro di pochi mesi o addirittura settimane.

Lo spettro di una nuova emergenza globale, con le cicatrici del Covid ancora fresche, appare a molti come un destino ineluttabile. Ad esempio, il Regno Unito ha già acquistato 5 milioni di dosi di vaccino H5, in grado di proteggere dall’influenza aviaria, in preparazione a tale rischio nel 2025.

È davvero così, allora? Si ricomincia? Siamo condannati a rincorrere un patogeno dopo l’altro, in una girandola infinita di lockdown e restrizioni? La risposta, per fortuna, è no. Prevenire la prossima pandemia non è solo possibile, ma doveroso. E la chiave sta nel passare dalla reazione alla prevenzione.

La prossima pandemia? Non scherziamo. Anticipare, non rincorrere

Per troppo tempo, l’approccio globale alle pandemie è stato reattivo: si aspetta che un nuovo patogeno emerga e si diffonda, per poi correre ai ripari con misure di contenimento, farmaci e vaccini. Ma questo paradigma ha mostrato tutti i suoi limiti con il Covid: anche le risposte più rapide lasciano comunque al virus il tempo di infettare milioni di persone e mandare in tilt interi sistemi sanitari ed economie.

La strada maestra per spezzare questo ciclo è l’anticipazione: individuare i patogeni potenzialmente pandemici prima che facciano il salto di specie, studiarne l’evoluzione e sviluppare contromisure in anticipo. È la filosofia del cosiddetto “moonshot” delle pandemie, un ambizioso programma di ricerca e sorveglianza che mira a neutralizzare sul nascere le minacce emergenti.

Il primo pilastro di questa strategia è il monitoraggio capillare della circolazione di virus ad alto rischio, come l’influenza aviaria, nelle popolazioni animali. Questo richiede una collaborazione senza precedenti tra settori spesso separati, come sanità pubblica veterinaria e umana, ambiente, agricoltura. Solo mappando in tempo reale l’ecologia e l’evoluzione di questi patogeni potremo anticiparne e prevenirne il salto di specie.

Un radar per i virus

Sorvegliare, sia chiaro, non basta: occorre anche sviluppare una capacità di “allerta precoce” per individuare rapidamente eventuali casi umani di infezioni zoonotiche. Questo significa potenziare i sistemi di sorveglianza sindromica, che tracciano in tempo reale cluster di sintomi sospetti in tutto il mondo, e integrare sistemi di intelligenza artificiale per individuare segnali anomali nel “rumore di fondo” delle malattie stagionali.

Un esempio concreto sono le cosiddette “sentinel communities”, comunità ad alto rischio (come gli allevatori o chi vive a stretto contatto con animali selvatici) che vengono monitorate strettamente per individuare precocemente eventuali “spillover” di patogeni. In parallelo, occorre potenziare le capacità diagnostiche a livello globale, con particolare attenzione ai paesi a basso e medio reddito, dove spesso emergono nuovi virus.

La vera svolta sarebbe lo sviluppo di quella che alcuni chiamano “archeologia predittiva” dei virus: usare il sequenziamento genomico di massa e algoritmi di machine learning per mappare l’intera “virosfera”, il mondo dei virus, e prevederne le evoluzioni future. Conoscendo in anticipo quali mutazioni potrebbero rendere un virus più trasmissibile o patogeno, potremmo sviluppare vaccini e terapie “pan-virus” in grado di neutralizzare intere famiglie di patogeni prima ancora che emergano. In sintesi? Non ci sarebbe più alcuna prossima pandemia. Mai più. Non le daremmo mai il tempo.

Prossima pandemia, rafforzare la prima linea

Anche con i migliori sistemi di allerta precoce, non potremo mai azzerare il rischio di nuove zoonosi. Per questo, è fondamentale rafforzare la resilienza dei sistemi sanitari, in particolare nei paesi più vulnerabili. Questo significa investire in personale, infrastrutture, catene di approvvigionamento, per garantire che ogni paese sia in grado di individuare rapidamente e contenere eventuali focolai locali prima che diventino emergenze globali.

Un esempio virtuoso in tal senso è l’Africa, che grazie agli investimenti post-Ebola ha saputo rispondere al Covid in modo molto più efficace di quanto molti si aspettassero. Rafforzare la prima linea di difesa, quella dei sistemi sanitari locali, è forse l’investimento più intelligente che la comunità globale possa fare per prevenire future pandemie.

One Health, One World

La lezione più importante che il Covid ci ha insegnato è che la salute umana, animale e ambientale sono intrinsecamente interconnesse. Non possiamo più permetterci di considerarle compartimenti stagni. Ogni pressione che esercitiamo sugli ecosistemi, dalla deforestazione all’agricoltura intensiva, aumenta il rischio di zoonosi. Allo stesso modo, condizioni di vita insalubri e disuguaglianze nell’accesso alla sanità creano il terreno fertile per la diffusione di epidemie.

Prevenire la prossima pandemia, quindi, non è solo una questione di sorveglianza e scienza, ma richiede un ripensamento profondo del nostro rapporto con il pianeta e con gli altri esseri viventi. Richiede di abbracciare fino in fondo l’approccio “One Health”, che vede la salute come un continuum inscindibile tra persone, animali, piante e il loro ambiente condiviso.

Questo significa promuovere pratiche agricole sostenibili che minimizzino il contatto tra fauna selvatica e allevamenti, preservare gli habitat naturali che fanno da “tampone” contro i patogeni, migliorare gli standard di biosicurezza negli allevamenti e nei mercati umidi. Ma significa anche combattere le disuguaglianze socio-economiche e garantire l’accesso universale a servizi sanitari di qualità, perché nessuno è al sicuro finché non lo siamo tutti.

Prossima pandemia? No, il futuro è più sicuro. Se vogliamo.

L’ombra della prossima pandemia, forse causata dall’influenza aviaria o da un altro patogeno ancora sconosciuto, incombe minacciosa all’orizzonte. Ma non siamo condannati a subirla inermi. Abbiamo gli strumenti, le conoscenze e le tecnologie per prevenirla, o nel peggiore dei casi mitigarne drasticamente l’impatto. Quello che ci manca, spesso, sono la volontà politica e gli investimenti necessari per passare dalla reazione alla prevenzione.

La pandemia di Covid ha messo a nudo come mai prima le fragilità e le interconnessioni del nostro mondo globalizzato. Ci ha fatto capire che nessun paese può affrontare da solo minacce che non conoscono confini. Ci ha ricordato che la salute non è un lusso, ma un diritto fondamentale e un bene pubblico globale che richiede cooperazione e solidarietà tra nazioni.

Forse, se sapremo fare tesoro di queste lezioni, potremo non solo prevenire la prossima pandemia, ma costruire un mondo più sano, giusto e resiliente per tutti. Un mondo in cui la salute di ogni essere vivente sia vista come intimamente connessa a quella degli altri e dell’intero pianeta. La strada è piena di ostacoli, ma la direzione è chiara.

E il futuro, nonostante le minacce che incombono, è ancora tutto da scrivere.

L’articolo Caccia alla prossima pandemia? Non è inevitabile è tratto da Futuro Prossimo.

Medicina, Coronavirus, Pandemia 

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