Come hanno creato mini terremoti in laboratorio per studiare i grandi Futuro Prossimo

Come hanno creato mini terremoti in laboratorio per studiare i grandi Futuro Prossimo

Cosa hanno in comune una montagna, una faglia tettonica e un mucchietto di sabbia in laboratorio? Più di quanto potreste pensare. Perché, come hanno dimostrato alcuni fisici olandesi, basta un piccolo scossone per far “liquefare” il terreno e scatenare un mini-terremoto. Un fenomeno che, su scala ridotta, riproduce alla perfezione ciò che avviene nella crosta terrestre durante un sisma. E che potrebbe aiutarci a capire meglio come prevedere e affrontare questi eventi catastrofici. Ma procediamo con ordine.

Una montagna di granelli

Tutto inizia con un’intuizione dei ricercatori Kasra Farain e Daniel Bonn dell’Università di Amsterdam. La loro idea è chiara: riprodurre in laboratorio le condizioni che si verificano su una ripida pendenza montuosa o lungo una faglia tettonica, usando un sottile strato di minuscole sfere dal diametro di un capello umano.

Perché usare dei granelli invece che un bel blocco di roccia? Perché, come spiegano i ricercatori nello studio che vi linko qui, il terreno che calpestiamo è tutt’altro che un solido perfetto. Anzi, è più simile a un ammasso disordinato di granuli, che siano chicchi di sabbia o frammenti di pietra. E lo stesso vale per le faglie in profondità, dove si incontrano le placche tettoniche. Insomma, per capire come si scatena un terremoto, meglio partire dalle fondamenta: i granelli.

Ballando sul filo della faglia: i terremoti in laboratorio

Usando un disco pressato sulla superficie dei granelli e ruotato lentamente a velocità costante, i ricercatori hanno simulato in laboratorio le forze che si accumulano su un pendio scosceso o lungo una faglia. Poi, con un semplice rimbalzo di palla (letteralmente) accanto all’apparato sperimentale, hanno generato una piccola onda sismica. Il risultato? I granelli hanno iniziato a scivolare e riorganizzarsi, proprio come in un vero terremoto.

Ma la vera sorpresa è arrivata quando i ricercatori hanno analizzato nel dettaglio la “danza” dei granelli. Per un breve istante, infatti, questi si comportano più come un liquido che come un solido, perdendo attrito e scorrendo l’uno sull’altro. Solo dopo il passaggio dell’onda sismica, l’attrito torna a farsi sentire e i granelli si bloccano di nuovo, ma in una configurazione diversa.

Configurazione sperimentale e superamento dello stress dovuto all’inizio dei flussi granulari. (A) Un reometro fa ruotare un tubo cilindrico che poggia su uno strato di micro sfere attorno al suo asse di simmetria. (B) Il materiale granulare inizia da una configurazione di riposo casuale (riquadro in basso a sinistra). L’applicazione di una velocità di taglio costante fa sì che inizi a scorrere. Dopo un ampio e continuo superamento dello stress, arriva ad uno stato stazionario con una configurazione allineata (riquadro in alto a destra). 

Dalla provetta alla crosta terrestre

Certo, potreste obiettare, tutto molto interessante, ma cosa c’entra un mucchietto di sabbia che balla in laboratorio con i terremoti veri? Più di quanto immaginate. Perché, come spiegano i ricercatori, i fenomeni sismici seguono leggi “invarianti di scala”. Insomma, che si tratti di granelli minuscoli o di intere faglie lunghe chilometri, la fisica di base è la stessa.

Non a caso, il modello matematico che Farain e Bonn hanno dedotto dai loro esperimenti è in grado di spiegare quantitativamente come il terremoto di Landers del 1992 in California abbia innescato a distanza un secondo evento sismico, 415 km più a nord. E non solo: lo stesso modello descrive con precisione l’aumento di pressione dei fluidi osservato nella zona di subduzione di Nankai, vicino al Giappone, dopo una serie di piccoli terremoti nel 2003.

Dai passi dei colleghi alle onde sismiche

La storia di questa ricerca ha anche un lato ironico. Inizialmente, infatti, l’apparato sperimentale di Farain era posizionato su un semplice tavolo, senza tutti i sofisticati sistemi di isolamento dalle vibrazioni necessari per misure precise. Risultato? Anche il minimo movimento dei colleghi, dal camminare al chiudere una porta, influenzava l’esperimento. Un bel grattacapo per il povero Farain, costretto a elemosinare passi felpati e chiusure gentili.

Ma si sa, a volte le seccature si trasformano in opportunità. Ispirato da come i movimenti dei colleghi influenzavano il suo apparato, Farain ha iniziato a indagare la fisica all’opera. E anche dopo aver finalmente ottenuto un tavolo ottimizzato per le vibrazioni, non ha resistito alla tentazione di tornare in laboratorio con un altoparlante, per generare rumori controllati e studiarne gli effetti.

Grazie ai mini terremoti in laboratorio avremo una Terra più prevedibile?

Ditemi di sì, vivo nei Campi Flegrei. Questa ricerca potrebbe avere implicazioni molto serie per la nostra comprensione dei terremoti e la capacità di prevederli. Siamo ancora lontani dal poter prevedere con certezza dove e quando si verificherà il prossimo “Big One”, ma capire meglio come anche una piccola perturbazione possa far scattare un evento sismico è un passo fondamentale in quella direzione.

Un giorno, forse, le future generazioni guarderanno a questi esperimenti come a un punto di svolta nella nostra lotta contro uno dei fenomeni naturali più devastanti. Un po’ come noi oggi guardiamo agli esperimenti di Galileo sulla caduta dei gravi o di Newton sulle orbite dei pianeti. Perché anche la scienza più rivoluzionaria, a volte, inizia da un semplice mucchietto di sabbia. O da un collega che pesta un po’ troppo i piedi mentre passa accanto ad un tavolo.

L’articolo Come hanno creato mini terremoti in laboratorio per studiare i grandi è tratto da Futuro Prossimo.

Tecnologia, fisica, Terremoti 

Related Posts
Leave a Reply

Your email address will not be published.Required fields are marked *