Per le persone con paralisi o amputazioni, i sistemi neuroprotesici che stimolano artificialmente la contrazione muscolare con la corrente elettrica possono aiutare a recuperare la funzione degli arti. Tuttavia, nonostante anni di ricerca, questo tipo di protesi non è molto diffuso a causa della rapida insorgenza della fatica muscolare e dello scarso controllo. Ora, i ricercatori del MIT hanno sviluppato un nuovo approccio che sperano possa offrire un migliore controllo muscolare con meno affaticamento. Un approccio basato sull’optogenetica: invece di usare l’elettricità per stimolare i muscoli, hanno utilizzato la luce.
In uno studio sui topi, i ricercatori hanno dimostrato che questa tecnica offre un controllo muscolare più preciso, insieme a una drastica riduzione della fatica. Anche se attualmente non è applicabile agli esseri umani, questo metodo potrebbe rivoluzionare il campo delle protesi e aiutare le persone con funzionalità degli arti compromessa.
L’optogenetica: una luce nel buio della disabilità motoria
L’idea di controllare i muscoli con la luce può sembrare fantascienza, ma in realtà si basa su un principio ben noto in biologia: l’optogenetica. Questa tecnica consiste nel modificare geneticamente le cellule per far esprimere loro delle proteine sensibili alla luce, permettendo così di controllarne l’attività esponendole a impulsi luminosi. Finora, l’optogenetica è stata utilizzata soprattutto per studiare il funzionamento del cervello, ma i ricercatori del MIT hanno avuto l’intuizione di applicarla al controllo del movimento.
Il loro esperimento sui topi ha dimostrato che la stimolazione ottica dei muscoli offre diversi vantaggi rispetto alla tradizionale stimolazione elettrica. Innanzitutto, permette un controllo più fine e graduale della forza di contrazione, simile a quello naturale del corpo umano. Mentre la stimolazione elettrica tende ad attivare tutto il muscolo in una volta, provocando movimenti bruschi e poco precisi, la luce consente di “reclutare” le fibre muscolari in modo progressivo, ottenendo una risposta più fluida e proporzionale all’intensità dello stimolo.
Ma il vero punto di forza dell’optogenetica è la resistenza alla fatica. I muscoli stimolati elettricamente si esauriscono rapidamente, in 5-10 minuti, rendendo difficile un uso prolungato delle protesi. Con la luce, invece, i ricercatori sono riusciti a mantenere la stimolazione per oltre un’ora prima di osservare segni di affaticamento. Un risultato che apre prospettive entusiasmanti per il recupero della funzionalità motoria nelle persone con disabilità.
Dalla teoria alla pratica: le sfide da affrontare
Naturalmente, il passaggio dai topi all’uomo non è scontato né immediato. La principale difficoltà consiste nel trovare un modo sicuro ed efficace per introdurre le proteine sensibili alla luce nei muscoli umani. Alcuni anni fa, il laboratorio di Hugh Herr (l’autore dello studio che vi linko qui) aveva riportato che nei ratti queste proteine possono scatenare una risposta immunitaria che le disattiva e può portare ad atrofia muscolare e morte cellulare. Un ostacolo non da poco, su cui i ricercatori stanno lavorando alacremente.
Il prof. Hugh Herr.
“Un obiettivo chiave del K. Lisa Yang Center for Bionics è risolvere quel problema”, afferma Herr. “È in corso uno sforzo su più fronti per progettare nuove proteine sensibili alla luce e strategie per somministrarle, senza innescare una risposta immunitaria”.
Altri passaggi necessari per arrivare con l’optogenetica ai pazienti umani? Lo sviluppo di nuovi sensori per misurare la forza e la lunghezza dei muscoli, nonché di nuovi modi per impiantare la sorgente luminosa. Una sfida ingegneristica non indifferente, ma che i ricercatori sono determinati ad affrontare. Se avranno successo, sperano che la loro strategia possa beneficiare le persone che hanno subito ictus, amputazioni degli arti e lesioni del midollo spinale, così come altri che hanno una capacità compromessa di controllare i propri arti.
Oltre la riparazione: verso un potenziamento del corpo umano?
Le implicazioni di questa ricerca vanno ben oltre il campo medico. Se la tecnica optogenetica dovesse dimostrarsi efficace e sicura nell’uomo, potrebbe aprire la strada a un vero e proprio potenziamento delle capacità motorie. Immaginate di poter aumentare la forza, la velocità o la resistenza dei vostri muscoli con una semplice iniezione di proteine sensibili alla luce. O di poter controllare il movimento di un arto robotico con il pensiero, grazie a un’interfaccia optogenetica cervello-macchina. Scenari che oggi sembrano fantascienza, ma che domani potrebbero diventare realtà.
Come sempre, questo solleva anche interrogativi etici e sociali non trascurabili. Chi avrà accesso a queste tecnologie? Saranno riservate solo a scopi medici o saranno disponibili anche per usi “ricreativi”? Che impatto avranno sulla nostra concezione di normalità e disabilità? E come evolverà il rapporto tra corpo biologico e tecnologia?
Sono domande aperte, che richiedono una riflessione approfondita e un dibattito allargato. Ma una cosa è certa: la ricerca del MIT sulla stimolazione optogenetica dei muscoli ci offre uno scorcio affascinante sul futuro delle protesi e del potenziamento umano. Un futuro in cui la luce potrebbe letteralmente muovere il mondo, un muscolo alla volta.
L’articolo Controllare i muscoli con la luce: la sfida optogenetica del MIT è tratto da Futuro Prossimo.
Medicina, Tecnologia, MIT, Optogenetica