C’è un muro altissimo, largo cinque metri e illuminato da una luce soffusa. Un muro interamente tappezzato da 192 brevetti, disposti in file ordinate come soldatini pronti alla parata. Benvenuti nell’atrio dell’Accademia Cinese delle Scienze (CAS) di Pechino, il tempio della scienza cinese: e il polo di ricerca scientifica più grande del mondo.
Qui, dietro un cordone di velluto, fa bella mostra di sé il simbolo tangibile dell’ascesa cinese nel firmamento della scienza globale: una collezione di semi, protetti da boccette di vetro come reliquie. Semi rivoluzionari, frutto di scoperte all’avanguardia nel campo della biologia vegetale. Come il gene che, una volta rimosso, aumenta la lunghezza e il peso dei chicchi di grano. O quello che migliora la capacità di colture come sorgo e miglio di crescere in terreni salini. Innovazioni che promettono di dare una spinta alla sicurezza alimentare del Paese e del pianeta. Sono la punta dell’iceberg di un primato, quello della scienza cinese, che ormai abbraccia tutti i campi del sapere. Dalla fisica alle scienze della Terra, passando per chimica, ingegneria e intelligenza artificiale. Un’avanzata inarrestabile, quella della ricerca made in China, che sta ridisegnando la mappa della conoscenza a livello globale. E che pone sfide e opportunità inedite per la comunità scientifica internazionale.
L’inarrestabile ascesa
Nel 2019 The Economist ha esaminato il panorama della scienza cinese, e si è chiesto se un giorno la Cina avrebbe potuto diventare una superpotenza scientifica. Oggi quella domanda ha una risposta inequivocabile: si.
I numeri parlano chiaro: negli ultimi vent’anni, la scienza cinese ha scalato vertiginosamente le classifiche della produzione scientifica mondiale, passando dal ruolo di comparsa a quello di protagonista assoluta. Basti pensare che nel 2003 gli USA pubblicavano 20 volte più articoli ad alto impatto rispetto al gigante asiatico. Dieci anni dopo, il rapporto era sceso a 4 a 1. E oggi? Oggi la scienza cinese ha superato sia gli USA che l’intera Unione Europea nella produzione di ricerche di punta, quelle più citate e influenti.
Un sorpasso certificato anche da altri indicatori, come il Nature Index, che misura i contributi alle riviste scientifiche più prestigiose. Qui la Cina è passata dal secondo posto del 2014, quando contribuiva per meno di un terzo rispetto agli USA, al primo posto assoluto nel 2023. E non è tutto: secondo la classifica di Leiden sulla produzione scientifica, ben 6 università o istituzioni cinesi figurano ormai nella top ten mondiale. Nomi come Tsinghua, Shanghai Jiao Tong o Zhejiang, destinati a diventare familiari quanto Oxford, Harvard o il Politecnico di Zurigo.
Tsinghua è oggi la prima università al mondo per scienza e tecnologia. Un traguardo straordinario, raggiunto in una sola generazione.
Simon Marginson, professore di istruzione superiore a Oxford
Scienza cinese, dagli investimenti alle strategie
Immagine: The Economist.
Come ha fatto la scienza cinese a compiere questo balzo in avanti? La risposta sta in un mix di fattori che vanno dagli investimenti alle strategie, passando per le politiche di reclutamento dei talenti. Partiamo dai soldi: dal 2000 ad oggi, la spesa cinese per ricerca e sviluppo è cresciuta di 16 volte in termini reali. E se in valore assoluto gli USA mantengono ancora un leggero vantaggio (806 miliardi di dollari contro 668 nel 2021, a parità di potere d’acquisto), guardando solo alla spesa di università e istituzioni pubbliche il sorpasso è già realtà.
E non si tratta solo di investire di più: la Cina ha anche imparato a spendere meglio, indirizzando chirurgicamente i fondi verso aree strategiche individuate dal Partito Comunista nei suoi piani quinquennali. Dall’intelligenza artificiale alle biotecnologie, passando per neuroscienze, medicina rigenerativa ed esplorazione di “nuove frontiere” come lo spazio profondo o i poli terrestri. Una strategia di specializzazione mirata che sta dando i suoi frutti, come dimostrano i primati della scienza cinese in settori chiave come i materiali avanzati o il calcolo quantistico.
Accanto agli investimenti, poi, ci sono le politiche di sviluppo del capitale umano. A partire dai massicci programmi di “rimpatrio dei cervelli”, i cosiddetti “haigui” (tartarughe di mare), che hanno attirato in patria milioni di ricercatori cinesi formatisi all’estero con generosi incentivi economici e prospettive di carriera. Un brain gain che ha ribaltato il tradizionale brain drain, e che oggi fa sì che la Cina abbia più ricercatori di Stati Uniti e UE messi insieme.
Il lato oscuro del successo
Università di Tsinghua
Attenzione però a dipingere un quadro troppo idilliaco. Perché l’impetuosa ascesa della scienza cinese non è priva di ombre e contraddizioni. A partire dalla persistenza, accanto alle punte di diamante, di una vasta produzione di ricerca di scarsa qualità e impatto, spesso gonfiata da pratiche discutibili come le “cricche delle citazioni” o il pagamento di bonus per pubblicare a tutti i costi. Problemi che le autorità hanno iniziato a contrastare, ma che richiedono un cambio di mentalità non immediato.
C’è poi la questione spinosa dei legami tra ricerca, stato e forze armate. Con il rischio che il progresso scientifico si traduca in minacce alla sicurezza o alla proprietà intellettuale, come denunciano alcuni governi occidentali. Timori che stanno portando a una crescente diffidenza (a volte a veri e propri ostracismi) verso le collaborazioni con enti e ricercatori cinesi. Un clima di sospetto che rischia di danneggiare quello scambio di conoscenze da cui la scienza trae linfa vitale. Una nuova guerra (speriamo) fredda anche tra scienza cinese e Occidentale, che farebbe il male di tutti.
Infine, c’è l’interrogativo su quanto a lungo potrà durare il “miracolo” cinese, e se la “corsa agli armamenti scientifici” con l’Occidente non finirà per scontrarsi con i limiti di un’economia e di una società attraversate da crescenti criticità. Dalla bolla immobiliare alla crisi demografica, passando per le tensioni sociali e politiche. Nodi che prima o poi verranno al pettine, e che potrebbero rallentare o addirittura interrompere lo slancio di Pechino verso la vetta del sapere.
La scienza cinese a un bivio storico
L’ascesa della Cina a superpotenza scientifica rappresenta uno spartiacque destinato a ridisegnare gli equilibri globali della conoscenza nel XXI secolo. Con sfide e opportunità inedite per l’intero pianeta. Perché se da un lato il nuovo peso di Pechino apre scenari di cooperazione su sfide epocali come il cambiamento climatico o le pandemie, dall’altro pone interrogativi su standard etici e libertà di ricerca.
Servirà trovare un difficile equilibrio fra riconoscimento dei meriti e difesa dei valori. Fra competizione e collaborazione. Con la consapevolezza che il futuro della scienza (e forse dell’umanità) dipenderà sempre più da come sapremo gestire l’impatto dirompente del Dragone. Senza illusioni né demonizzazioni. Ma con la lucidità e il coraggio di guardare in faccia la nuova realtà. Saremo capaci di accogliere questa sfida? L’ultimo metro del progresso passa da qui.
L’articolo La scienza cinese ha ottenuto la supremazia sull’Occidente: come ha fatto? è tratto da Futuro Prossimo.
Tecnologia, cina, Scienza