Nuovo studio svela i fattori chiave della super-longevità dei centenari Futuro Prossimo

Nuovo studio svela i fattori chiave della super-longevità dei centenari Futuro Prossimo

Cosa hanno in comune le persone che riescono a varcare la soglia del secolo di vita? Quali segreti si celano nel loro sangue, quali sostanze misteriose li rendono capaci di sfidare le leggi del tempo e della biologia? Sono domande che affascinano l’umanità da sempre, e a cui la scienza cerca risposte con crescente impegno. Ora, uno studio pubblicato su GeroScience (ve lo linko qui) getta nuova luce su questo enigma, analizzando i profili di 12 biomarcatori nel sangue di oltre 44.000 centenari e ultranonagenari svedesi.

I risultati rivelano differenze cruciali nei livelli di glucosio, creatinina, acido urico e altri parametri tra chi raggiunge il traguardo dei 100 anni e chi si ferma prima. Indizi preziosi per svelare l’elisir di lunga vita o semplici correlazioni statistiche, dietro cui si nasconde il ruolo decisivo del caso e della genetica? Proviamo a fare chiarezza, esplorando nel dettaglio questa ricerca pionieristica.

Uno studio da record

Lo dico subito: questo è lo studio più ampio mai realizzato sui biomarcatori ematici dei centenari. O quasi, perché gli ultranonagenari sono quelli che hanno un’età compresa tra 90 e 99 anni. Un’impresa scientifica notevole, che ha coinvolto un campione di oltre 44.000 svedesi ultranonagenari (cioè di età compresa tra 90 e 99 anni), seguiti per un periodo fino a 35 anni attraverso i registri sanitari nazionali. Di questi, nel periodo seguito ben 1224 hanno raggiunto e superato il traguardp dei 100 anni.

Una percentuale non trascurabile, se si considera che i centenari, pur essendo in costante aumento, rappresentano ancora una rarità demografica: basti pensare che in Italia, uno dei paesi più longevi al mondo, se ne contano circa 20 ogni 100.000 abitanti.

La vera forza dello studio non è quella, pur notevole, di aver monitorato parametri per decenni (fino a 35 anni), ma di aver messo a confronto i profili ematici dei “centenari di successo” con quelli dei loro coetanei meno fortunati, andando a caccia di differenze significative in una serie di parametri biologici chiave. Un approccio comparativo che permette di far emergere eventuali “firme” biochimiche dell’estrema longevità, al di là delle inevitabili variazioni individuali. E cosa ne è venuto fuori?

Ho chiesto all’AI di immaginare una riunione del “club dei centenari”. Eccoli qui, ad aggiornare i loro profili TikTok.

I dodici parametri “da centenari” sotto la lente

I biomarcatori presi in esame dallo studio sono 12 parametri ematici, selezionati per la loro rilevanza in rapporto ai processi di invecchiamento e alla mortalità. Eccoli in sintesi:

Acido urico: un prodotto di scarto del metabolismo, legato a processi infiammatori.

Colesterolo totale e glucosio: indicatori dello stato metabolico e funzionale.

Alanina aminotransferasi (ALT), aspartato aminotransferasi (AST), albumina, gamma-glutamiltransferasi (GGT), fosfatasi alcalina (ALP) e lattato deidrogenasi (LDH): marcatori della funzionalità epatica.

Creatinina: un indicatore della funzionalità renale.

Ferro e capacità totale di legame del ferro (TIBC): parametri legati all’anemia.

Albumina: un marcatore dello stato nutrizionale.

Uno spettro ampio e diversificato, che copre molti degli aspetti chiave della fisiologia umana, dall’infiammazione al metabolismo energetico, passando per la funzionalità di organi vitali come fegato e reni. Tutti elementi che, in base alle conoscenze attuali, possono influenzare in modo significativo il processo di invecchiamento e la durata della vita. Come sono questi valori nei centenari?

Differenze sottili, ma significative

L’analisi comparativa dei profili ematici ha rivelato alcune differenze statisticamente significative tra centenari e non centenari. In particolare, gli “highlander” tendevano ad avere livelli più bassi di glucosio, creatinina e acido urico a partire dai 60 anni di età in poi. Pur non discostandosi molto dai valori medi dei coetanei meno longevi, i centenari mostravano raramente valori estremi (molto alti o molto bassi) per la maggior parte dei biomarcatori.

Ad esempio, pochissimi centenari presentavano in età avanzata un livello di glucosio superiore a 6,5 mmol/L o di creatinina superiore a 125 µmol/L. Soglie che, pur rientrando nella norma per la popolazione generale, sembrano associate a una minore probabilità di raggiungere il secolo di vita.

Interessante notare che, per molti parametri, sia i centenari che i non centenari mostravano spesso valori al di fuori del range considerato normale dalle linee guida cliniche. Un dato che suggerisce come tali linee guida, basate su popolazioni più giovani e sane, potrebbero non essere del tutto adeguate per gli ultranonagenari.

Immagine: Depositphotos

Centenari, un complesso gioco di probabilità

Ma qual è l’effettivo impatto di questi biomarcatori sulla probabilità di diventare centenari? Per scoprirlo, i ricercatori hanno suddiviso il campione in cinque gruppi (quintili) in base ai livelli di ciascun parametro, andando poi a confrontare le percentuali di centenari in ogni gruppo.

Ne è emerso un quadro sfaccettato, in cui livelli troppo bassi di colesterolo totale e ferro, o troppo alti di glucosio, creatinina, acido urico e marcatori epatici, sembrano associati a una minore probabilità di raggiungere i 100 anni. Differenze a volte sottili in termini assoluti (nell’ordine di pochi punti percentuali), ma statisticamente rilevanti.

Prendiamo ad esempio l’acido urico: nel quintile con i livelli più bassi, il 4% delle persone è arrivato a festeggiare il secolo di vita. Nel quintile con i livelli più alti, solo l’1,5%. Una forbice di 2,5 punti percentuali che, pur non essendo enorme, suggerisce un potenziale legame tra questo marcatore infiammatorio e la longevità eccezionale.

Intendiamoci: siamo ancora nel campo delle correlazioni statistiche, non dei nessi causali dimostrati.

Lo studio non permette di stabilire se siano i livelli di acido urico a influenzare la durata della vita, o se entrambi siano a loro volta influenzati da altri fattori (genetici, ambientali, comportamentali). Quel che è certo è che queste associazioni, per quanto sottili, gettano una luce intrigante sui possibili determinanti biochimici dell’estrema longevità.

I risultati dello studio, per quanto interessanti, vanno presi con la dovuta cautela. Siamo ancora lontani dal poter identificare con certezza i “segreti” biochimici della longevità eccezionale, ammesso che esistano.

Centenari tra destino e stile di vita

È probabile che i livelli di glucosio, creatinina, acido urico e altri biomarcatori siano influenzati da una complessa interazione tra predisposizione genetica e fattori ambientali/comportamentali, come l’alimentazione e il consumo di alcol. Elementi su cui, almeno in parte, possiamo intervenire con scelte consapevoli.

D’altra parte, il fatto che le differenze nei profili ematici siano osservabili molti anni prima della morte suggerisce che, accanto allo stile di vita, anche il patrimonio genetico possa giocare un ruolo non trascurabile nel modulare la traiettoria di invecchiamento e la durata della vita.

Insomma, come spesso accade quando si parla di longevità, la verità sta probabilmente nel mezzo: in un intricato gioco di interazioni tra geni, ambiente e caso. Un gioco in cui possiamo certamente influenzare le nostre chances con comportamenti virtuosi (ad esempio tenendo sotto controllo i livelli di glucosio, creatinina e acido urico in età avanzata), ma senza la garanzia di vincere il jackpot dei cent’anni.

La grande scommessa

L’estrema longevità resta in gran parte una scommessa con il destino. Una scommessa in cui la biologia di base conta, certo, ma in cui entrano in gioco anche una serie di variabili stocastiche difficili da controllare. Dall’esposizione a malattie e stress ambientali alle vicissitudini dell’esistenza, passando per gli imponderabili dell’eredità genetica.

Ciò non toglie che studiare i centenari resti un’impresa scientifica di grande valore, capace di fornire indizi preziosi sui meccanismi biologici dell’invecchiamento e sui fattori che possono rallentarne (o accelerarne) il corso. Indizi che, accumulandosi nel tempo, apriranno la strada a interventi mirati per migliorare la qualità e la durata della vita nella popolazione generale.

Attenzione, però, a non cedere alla tentazione di facili ricette o di improbabili “elisir di giovinezza”. Il sogno dell’immortalità, o di un’eterna vecchiaia in salute, resta per ora appunto un sogno. Mentre lo coltiviamo, perché i sogni sono importanti, dedichiamoci anche al tempo che abbiamo: con saggezza, certo. Con moderazione. Ma pure con un pizzico di follia, per vivere da centenari nell’anima, per vivere tanta vita a prescindere dagli anni.

Perché in fondo, come amava ripetere Rita Levi Montalcini (centenaria e Nobel per la medicina), “il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente”.

L’articolo Nuovo studio svela i fattori chiave della super-longevità dei centenari è tratto da Futuro Prossimo.

Medicina, longevità 

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