Un team di ricercatori e ingegneri del Centro per la Riparazione del Clima dell’Università di Cambridge, in collaborazione con la startup britannica Real Ice, sta sperimentando una soluzione senza precedenti per contrastare la perdita dei ghiacci artici: utilizzare droni subacquei alimentati a idrogeno per pompare acqua marina sopra la calotta polare, creando nuovi strati di ghiaccio.
L’obiettivo? Spezzare il circolo vizioso che accelera lo scioglimento dei ghiacci, e guadagnare tempo prezioso per raggiungere la vera meta: ridurre le emissioni e stabilizzare il clima globale.
Droni subacquei contro lo scioglimento dei ghiacci: sfida epica
Da decenni, l’Artico si sta riscaldando più in fretta del resto del pianeta. Man mano che i ghiacci marini si sciolgono, la superficie del mare assorbe più radiazione solare, il che a sua volta accelera ulteriormente la fusione del ghiaccio. È una spirale (se volete, la approfondisco nel box alla fine di questo paragrafo) che minaccia di trasformare l’Artico e, con esso, il clima del mondo intero. Oggi, alcuni scienziati puntano su metodi “non convenzionali” per rallentare questa tendenza. Tra questi, un’idea audace: ricreare lo spessore dei ghiacci, utilizzando tecnologie verdi e droni subacquei in grado di spruzzare acqua marina sulla superficie, lasciandola gelare nuovamente. Come funziona?
Un circolo vizioso nell’Artico
L’Artico si scalda a una velocità impressionante, circa quattro volte più rapidamente della media globale. Dall’inizio delle rilevazioni satellitari, a partire dal 1979, la quantità di ghiaccio marino è calata drammaticamente. Lo scioglimento dei ghiacci polari non solo fa innalzare il livello dei mari, ma riduce anche la capacità della Terra di riflettere la luce del Sole nello spazio, aumentando così l’assorbimento di calore e innescando un meccanismo di auto-accelerazione dello scioglimento.
Questa dinamica, nota come feedback dell’albedo, potrebbe portarci ad avere estati artiche completamente prive di ghiaccio già verso la metà di questo secolo. Gli impatti sarebbero enormi: dalla destabilizzazione del clima alle emissioni di metano per il disgelo del permafrost, passando per il rischio di compromissione di interi ecosistemi. Di fronte a questa prospettiva, alcuni ricercatori ritengono necessario prendere in considerazione azioni drastiche. Quanto drastiche?
L’idea di Real Ice: droni subacquei per rifare il ghiaccio
La visione di Real Ice, come detto, è basata su droni subacquei alimentati a idrogeno verde. Questi apparecchi sarebbero in grado di perforare il ghiaccio dal basso, per poi pompare l’acqua marina al di sopra della banchisa, creando così un “cappotto” di ghiaccio addizionale.
Secondo Andrea Ceccolini, CEO di Real Ice, i test preliminari condotti negli ultimi due anni hanno dimostrato che il metodo può effettivamente incrementare lo spessore del ghiaccio. Il principio è semplice: se si riesce a formare strati di ghiaccio più spessi, diventa più difficile che questi si sciolgano completamente durante l’estate. Se l’Artico riuscisse a conservare ghiaccio per tutto l’anno, l’effetto albedo sarebbe ripristinato, aiutando a contenere il riscaldamento globale.
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il ghiaccio
Per quanto l’idea sia affascinante, portarla su larga scala è tutt’altro che semplice. Innanzitutto, i ricercatori devono dimostrare che il processo funzioni non solo su piccole aree sperimentali, ma anche su regioni estese. In secondo luogo, emergono problemi logistici e finanziari: secondo le stime preliminari, per ottenere un effetto significativo a livello dell’intero Oceano Artico potrebbero essere necessari investimenti dell’ordine di 10 miliardi di dollari all’anno.
In un test recente, Real Ice è riuscita a creare circa 1.000 tonnellate di nuovo ghiaccio su un’area grande come un campo da calcio. Si tratta di un risultato promettente, ma ancora lontano dalla scala necessaria. L’obiettivo finale, come detto, sarebbe impedire che il ghiaccio si sciolga durante le estati più calde, garantendo un manto ghiacciato perenne. Solo test più estesi, previsti a partire dal 2024/2025, potranno dimostrare se l’approccio è davvero in grado di contrastare la perdita di ghiaccio su base stagionale.
Costi, benefici e possibilità reali
La cifra di 10 miliardi di dollari l’anno è senza dubbio imponente, ma Ceccolini invita a contestualizzare: l’umanità ha già speso somme ben maggiori per affrontare problemi complessi. Inoltre, evitare gli impatti più gravi del cambiamento climatico potrebbe far risparmiare, a lungo termine, trilioni di dollari in costi di adattamento, danni ambientali ed economici.
L’idea è che, se questa tecnologia si rivelasse efficace, sarebbe un ponte temporaneo per guadagnare tempo, consentendo di ridurre le emissioni e stabilizzare la concentrazione di CO2 a livelli sostenibili (intorno ai 350 ppm).
È un approccio che si colloca nel dibattito più ampio sulla geoingegneria, un termine che spesso suscita diffidenza e paura. Alcuni metodi proposti, come l’iniezione di aerosol nella stratosfera per riflettere la luce solare, sono considerati potenzialmente rischiosi e dagli effetti collaterali imprevedibili. C’è anche il timore del cosiddetto “moral hazard”: se esistono tecniche per mitigare i sintomi del cambiamento climatico, i governi e le industrie potrebbero ritardare gli sforzi per ridurre le emissioni, sapendo di avere un “piano B”.
Ceccolini preferisce inquadrare la propria proposta nella “biomimetica”, ossia un tentativo di imitare o ristabilire processi naturali già esistenti. Prima dei cambiamenti climatici causati dall’uomo, l’Artico era in equilibrio, e il ghiaccio si rigenerava naturalmente. L’idea di Real Ice, in quest’ottica, sarebbe semplicemente un modo per ripristinare un meccanismo perso.
Naturalmente, è necessaria la massima cautela, e gli stessi scienziati ribadiscono che questo approccio non deve sostituire gli sforzi per raggiungere le emissioni nette zero, bensì integrare una strategia più ampia.
Droni subacquei e altre storie: oltre la riduzione delle emissioni
I rapporti dell’IPCC avvertono chiaramente che ridurre le emissioni non basta. Per mantenere l’aumento della temperatura sotto 1,5 °C, dovremo probabilmente ricorrere a tecnologie di cattura del carbonio e altre soluzioni complementari. La riforestazione, la conservazione di ecosistemi marini e terrestri e, se necessario, interventi di tipo geoingegneristico, potrebbero tutte diventare tessere di un puzzle più ampio.
La sfida principale? La tempistica. Le emissioni globali non hanno ancora raggiunto il picco e continuano a crescere, mentre la popolazione mondiale aumenterà di circa 2 miliardi di persone entro il 2050. Le tensioni geopolitiche e le divisioni politiche interne rendono ancora più complesso prendere decisioni coraggiose e condivise. In tale scenario, ignorare del tutto soluzioni come quella di Real Ice significherebbe forse perdere un’opportunità di intervenire prima che l’Artico e i suoi ecosistemi vadano irrimediabilmente perduti.
Tra speranza e responsabilità
La proposta di rifare il ghiaccio artico con droni subacquei potrebbe sembrare fantascientifica, ma riflette l’urgenza del nostro tempo. L’Artico è una sentinella del cambiamento climatico, un campanello d’allarme che invita l’umanità a trovare soluzioni coraggiose e visionarie. Se questa strada si dimostrerà praticabile, potrebbe offrirci un po’ di tempo in più per riequilibrare il sistema climatico globale, frenare l’aumento delle temperature e impedire che ecosistemi unici vadano perduti.
Questo, ovviamente, non significa rinunciare alla vera priorità: ridurre le emissioni a zero il prima possibile, trasformare i modelli produttivi e gli stili di vita, e proteggere in modo duraturo il nostro pianeta. L’azione di Real Ice è un promemoria che non basta sperare: è necessario agire, sperimentare, innovare. E, soprattutto, non dimenticare che anche gli interventi più sofisticati non potranno mai sostituire la responsabilità collettiva di garantire un futuro stabile e sicuro per le generazioni a venire.
L’articolo Startup UK vuol ripristinare il ghiaccio artico con droni subacquei è tratto da Futuro Prossimo.
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