Quante volte avete sentito dire che un uomo con la barba è più virile? La cultura pop ci bombarda di questi messaggi, spesso in modo subdolo. Quello che non ci dice è quanto questa pressione possa spingere qualcuno a mettersi letteralmente nelle mani di sconosciuti armati di bisturi. Il trapianto di barba rappresenta il punto d’incontro tra insicurezza maschile e commercializzazione della bellezza; un business nato per rispondere a un disagio reale, ma che rischia di alimentare aspettative irrealistiche. Quando un uomo confessa di aver rubato il mascara della sorella per riempire i vuoti della propria barba, non sta solo raccontando un aneddoto divertente: sta rivelando le cicatrici invisibili di chi si sente inadeguato rispetto a uno standard imposto. E la cosa che trovo più inquietante è come questa industria sia pronta a offrire soluzioni, a volte pericolose, senza affrontare il problema alla radice: perché associamo ancora la barba alla mascolinità? E perché questa associazione ha tanto potere su di noi?
Quando il trapianto di barba diventa necessità
La storia di Vikram Arora, quarantasettenne dell’Essex, mi è passata quasi per caso sotto gli occhi mentre leggevo qua e là il Guardian. L’ho trovata emblematica di un fenomeno in crescita. Questo signore ha passato l’adolescenza e la prima età adulta sentendosi “non abbastanza maturo” e “decisamente non abbastanza mascolino” per via della sua barba irregolare. Un complesso che l’ha perseguitato fino a spingerlo all’impensabile: rubare il mascara della sorella per colorare i punti vuoti della sua peluria facciale.
La cosa che mi fa sorridere amaramente è come il COVID abbia funzionato da catalizzatore per questa ossessione. Mentre eravamo tutti chiusi in casa, la barba è diventata uno statement fashion, un modo per riaffermare una virilità forse messa in crisi dalla reclusione forzata. Ed è proprio dopo i lockdown che Arora ha finalmente deciso di consultare un esperto, Nadeem Khan, per sottoporsi a un trapianto di 780 follicoli dalla nuca al viso.

Una decisione che credo rifletta perfettamente l’evoluzione (o, se preferite, l’involuzione) del nostro rapporto con l’immagine corporea; non siamo più disposti ad accettare ciò che la genetica ci ha dato, neanche quando si tratta di qualcosa di così superficiale come la densità della barba. E il problema, come vedete, non riguarda solo le donne.
Il lato oscuro del business della virilità
Khan non è certo l’unico a beneficiare economicamente di queste insicurezze. Il suo è un business legittimo, con 15 anni di esperienza alle spalle. Ma accanto ai professionisti proliferano i ciarlatani, soprattutto in destinazioni di turismo medico come la Turchia.
I risultati di questi interventi variano enormemente: da clienti soddisfatti a tragedie come quella di Mathieu Vigier Latour, studente francese di 24 anni, morto suicida dopo che un trapianto di barba fatto a Istanbul da un tecnico non qualificato gli ha causato dolore, cicatrici e dismorfismo corporeo.
Nell’analisi dei trend può capitare anche un fenomeno che sembra di poco conto, come d’altra parte è questo. Ma, vedete, in questi trafiletti che spesso ci passano distrattamente davanti ci sono tanti “segnali deboli” da cogliere per capire un po’ del presente e del futuro. In questo caso, ad esempio, stiamo parlando di un business che prospera esclusivamente sull’insicurezza; qualcuno guadagnerà sempre dalle nostre fragilità, che ci si sottoponga all’intervento in Italia, negli USA, in Francia, nel Regno Unito, in Turchia o altrove. E gli effetti collaterali? Quelli sono garantiti, in un modo o nell’altro.
Quello che posso dire è che continueremo a cercare soluzioni chirurgiche anche a problemi che esistono solo nella nostra testa. La barba è davvero così importante? O è solo l’ennesimo modo in cui la società ci dice che non siamo abbastanza? Forse è arrivato il momento di trapiantare un po’ di autostima, anziché follicoli.
L’articolo Uomini in crisi: ora spopola anche il trapianto di barba è tratto da Futuro Prossimo.
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